Ho letto, in queste ultime settimane, sulle colonne di questo giornale, un tagliente riferimento ad un palese quanto incomprensibile stato di “sonno” di quella “intelligencija” (per usare il termine russo senza italianizzarlo), un tempo pronta a sottoscrivere appelli e ad affrontare violenti (si fa per dire) dibattiti televisivi negli anni passati, così pensando di fare opera di impegno civile militante.
Ho allora pensato di inviare questo contributo per un appello alla unità di un Paese oggi, come l’Italia, sull’orlo della bancarotta – recessione, e quindi non certo incapace di offrire “autonomie rafforzate” alle sue regioni. Partiamo da una premessa.
Nord e Sud.
Prime linee di una inchiesta sulla ripartizione territoriale delle entrate e delle spese in Italia. È il titolo di un volume che vide la luce nel giugno 1900, pubblicato a Torino per i tipi della casa editrice torinese Roux e Viarengo. L’autore era un giovane parlamentare trentaduenne nato a Muro Lucano, nella profonda e povera Basilicata, successivamente più volte parlamentare, Ministro e Presidente del Consiglio in molte legislature fino al Fascismo. Quest’anno ricorre il centenario del suo mandato di Presidente, succeduto nella carica a Vittorio Emanuele Orlando e seguito, nell’anno successivo, da Giovanni Giolitti.
Francesco Saverio Nitti era il nome di questo statista che affrontò nella ponderosa opera, da giovane intellettuale impegnato, i problemi ed i temi della già allora molto discussa questione meridionale. Era un radicale Nitti impegnato nella sinistra e, alla sua prima opera, Nord e Sud appunto, fu dedicata la recensione, dal titolo lapidario ed essenziale, Nord e Sud, da un altro gigante della politica italiana che, da giovanissimo giornalista, presentando il volume sulle colonne de La Stampa il 25 giugno 1900 scriveva che lo stesso era “scritto con grande desiderio di verità, per un grande scopo di bene”.
Chi era questo critico, politicamente distante da Nitti ma, sul piano morale e, soprattutto, culturale, ben degno dell’occasione di Nitti? Semplicemente: Luigi Einaudi, un giovane giornalista che da Carrù, nel cuneese, affilava da giovane giornalista (aveva allora solo ventisei anni), dopo aver completato gli studi a Torino affilava le armi del polemista sulle colonne del quotidiano torinese, per poi passare, agli inizi del secolo, al Corriere della Sera.
Einaudi così scriveva: “nel nord molti sono persuasi che il sud abbia sfruttato l’Italia nuova e che il bilancio italiano sia stato gravato a torto per costruire ferrovie inutili del mezzogiorno e per mantenere un organismo complicato di governo in un paese di gran lunga inferiore in civiltà al settentrione”. E ancora, testualmente: “nel sud si ha l’opinione opposta, credendosi dai più che i danni economici della unione superino i benefizi”. A questo punto, oltre un secolo fa, anticipando un’osservazione critica particolarmente calzante oggi sull’esigenza di affrontare questi temi, finalmente con dati il più possibile precisi ed inconfutabili, esigenza ormai ineludibile, specie oggi, il giovane politico melfitano “giunge in buon punto per sostituire alle private mormorazioni la pubblica discussione, alle dicerie vaghe le dimostrazioni a base di statistiche precise”. Sulla base di queste ultime riprese del volume di Nitti, Einaudi poteva sinceramente, come piemontese, affermare: “il mezzogiorno ha sempre dato allo stato unitario più di quanto non abbia ricevuto”, sciorinando la tabella delle spese dello Stato per ogni 10 lire di imposte e tasse, dimostrando l’assunto precedente e così proseguendo: “nella Francia ed in molti degli stati più progrediti sono le regioni più povere quelle che ricevono più che non diano; in Italia sono le regioni più povere che danno assai più che non ricevono”.
Si riportano, ancora, alcune “perle” concernenti scuola, università e pubblica amministrazione.
“Le 17 università di stato sono in numero di 4 nell’Italia settentrionale, di 7 nella centrale, di 1 nella meridionale, di 3 in Sicilia e di 2 in Sardegna. Per l’unica università del mezzogiorno si spende assai meno che per quella di Roma, la quale ha pure appena la terza parte degli studenti di Napoli. Lo stesso si dica dei licei, ginnasi, istituti tecnici, scuole tecniche, biblioteche, musei, gallerie, sussidi alle scuole elementari povere, ecc. In tutti i casi lo stato spende più nel nord e nel centro che nel sud; ed i professori più scadenti sono mandati nel mezzogiorno, come anche i magistrati novellini”.
“La lista continua, documentata di fatti e da cifre, nel libro del Nitti” scriveva Einaudi e noi con lui “facciamo punto”, auspicando di aver invogliato i lettori ad approfondire la questione meridionale che “tratta senza reticenze una questione di interesse tanto alto per l’avvenire di Italia”.
Einaudi chiudeva il lungo saggio – recensione con delle proposte, ancor oggi attualissime, facendo sue le parole finali di una lettera dedicatoria che Nitti allegava al suo volume, inviandola al senatore piemontese Luigi Roux, editore proprio del volume, profondamente significativa e presaga del futuro. Riportiamone una parte: “tu sei nato nell’estremo nord della penisola (Piemonte) ed io nell’estremo sud: poiché non sei sospetto vuoi tu aiutarmi in un’opera di verità, che è diretta a mostrare un pericolo vero, ma anche a dimostrare che si deve avere fede nell’avvenire?”.
E qui, nelle conclusioni del suo saggio, il grande statista di Carrù, in quel di Cuneo, scrive, quasi profeta liberale e laico: “se sono riuscito… ad esprimere l’opinione dei settentrionali alieni da pregiudizi di regione, parmi poter concludere che l’invito del Nitti” (a risolvere la grave questione del contrasto fra nord e sud) “sarà ascoltato non solo dal direttore di questo giornale” (La Stampa), “ma da tutti i settentrionali, i quali abbiano la coscienza della necessità di mantenere l’unità nazionale diffondendo il bene con giustizia in tutte le parti del paese”. Altro che autonomia, differenziata o rafforzata, senza programmi e progetti generali e vincolanti da parte del governo centrale.