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Le due verità fra ammissioni private e pubbliche virtù

 
GIUSEPPE DE TOMASO

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GIUSEPPE DE TOMASO

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La dissonanza cognitiva è il tenace tentativo di negare l’evidenza sulla scia di un intervento fallito, di un presupposto sbagliato o di un’ideologia pervasiva

Martedì 18 Settembre 2018, 14:58

Si chiama dissonanza cognitiva. È un concetto della psicologia sociale introdotto dallo psicologo americano Leon Festinger (1919-1989). Si attaglia come un abito sartoriale anche a molti protagonisti della politica, specie in Italia. In breve: la dissonanza cognitiva è il tenace tentativo di negare l’evidenza sulla scia di un intervento fallito, di un presupposto sbagliato o di un’ideologia pervasiva.

Qualcosa di simile alla dissonanza cognitiva aveva escogitato la volpe del favoliere greco Esopo (620-564 avanti Cristo), che non riuscendo a piluccare i chicchi di un grappolo sentenziò che quell’uva era acerba. Un dato falso, pur di non ammettere una scomoda verità: la propria impotenza. In politica la dissonanza cognitiva tende a dilagare come un fiume che si ribella agli argini, dibattendosi tra verità illusoria e verità effettiva. La verità illusoria si fa strada sui social, e in tutte le manifestazioni pubbliche.

La verità effettiva prevale nei corridoi e nei luoghi meno affollati. Anzi, più ristretti sono i cenacoli o gli incontri, più possibilità ci sono perché la verità effettiva si affermi come la Mercedes di Louis Hamilton.

La verità illusoria è dogmatica e non ammette dubbi. La verità effettiva è pur sempre dubitativa e non ammette dogmi.
Il fatto curioso è che la doppia verità sovente alberghi nella stessa persona. Così capita che in una riunione al chiuso si sostenga una tesi e in una riunione all’aperto si sostenga, da parte della mesima bocca, una tesi diametralmente opposta. Roba da far crepare d’invidia gli antichi sofisti, maestri di spregiudicatezza concettuale, allenati a sostenere, con le parole, tutto e il contrario di tutto.

Oggi apprendiamo che molti sindaci contrari al gasdotto Tap anni addietro erano esplicitamente favorevoli. Col tempo, evidentemente, hanno sviluppato le astuzie della dissonanza cognitiva ribaltando in pubblico ciò che condividevano in privato.
Ma la dissociazione tra quello che si pensa e quello che si dice raggiunge punte paradossali sulle questioni economiche, specie se di interesse nazionale. Così, in un gruppo, può succedere di ascoltare ragionamenti ultra-liberistici da personaggi che in tv vorrebbero nazionalizzare pure la bottega di un barbiere. Idem per l’Europa. Accade di intercettare preoccupazioni sulla tenuta dell’euro anche da parte di chi, per affiliazione politica, dovrebbe risultare più euroscettico di un provinciale inglese nostalgico dell’Impero coloniale.

La Rete contribuisce assai ad allungare la spirale della dissonanza cognitiva, sia quella consapevole sia quella inconsapevole. E siccome il consenso non è sinonimo di conoscenza, la tentazione politica di dare supporto scenico e dialettico a ogni idea demagogica diviene più irresistibile di una vacanza in Costa Azzurra con una dea del cinema.
Ma possono un sistema politico e un sistema economico reggersi con la piena escalation della dissonanza cognitiva, che significa, in soldoni, rifiutarsi di fare i conti con la realtà? Di questo passo si rischia il collasso sistemico, perché nessun ordinamento, specie se democratico, può durare a lungo se la verità effettiva viene calpestata con sfacciata incoscienza e/o diffusa irresponsabilità. Sarebbe come amministrare un’azienda ignorando le cifre di entrate e uscite. Un disastro.

Purtroppo il fenomeno della dissonanza cognitiva non risparmia nessun problema: dall’Europa ai vaccini, dall’euro all’immigrazione, dalle politiche industriali alla giustizia, dalle crisi bancarie al Mezzogiorno. E purtroppo è raro imbattersi in argomentazioni pubbliche che privilegino la verità effettiva (condita di numeri incontestabili e analisi approfondite) rispetto alla verità illusoria (costellata di previsioni azzardate e riflessioni acrobatiche). Di solito si opta per la verità illusoria, relegando la verità effettiva nei conciliaboli di ombrellone, lontani dalle orecchie più sensibili.

Ovviamente, la politica, nel senso di classe politica, tende a vendere e preferire la verità illusoria, non la verità effettiva. Ma ci sono tempi e modi. Oggi non si giustificano i tempi (e i modi) a beneficio della verità illusoria. Oggi bisognerebbe liberarsi di ogni soprabito di dissonanza cognitiva per indossare il cappotto della verità effettiva. Bisognerebbe dimenticare la furbizia della volpe di Esopo per ricordare l’esortazione alla verità contenuta in primis nell’insegnamento cristiano.

Ad esempio. «Gli investimenti di oggi sono i profitti di domani e i posti di lavoro di dopodomani», diceva il cancelliere tedesco Helmut Schmidt (1918-2015), socialdemocratico, che si ispirava forse alla parabola evangelica del seminatore. In privato, molti in Italia condividerebbero questo assioma di Schmidt. In pubblico, meno. Ma se coram populo si sostiene e si propone il contrario - anche da parte di leader autorevoli e già affermati - traformando gli investimenti in debiti e i debiti immediati in tasse di domani, le speranze di crescita tendono a svanire. Così, a furia di mentire agli altri, e soprattutto a se stessi, a furia di restare imprigionati nella dissonanza cognitiva, e nella verità illusoria, qualunque proposito di sviluppo resterà solo un programma immaginario. 

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