BARI - Il futuro della politica italiana passa attraverso il presente e il futuro di tre regioni: Abruzzo, Basilicata e Trentino Alto Adige. È in queste aree del Paese, così diverse fra loro eppure accomunate dallo stesso destino, che si sta giocando una delle partite più importanti. La posta in palio è legata alla destrutturazione o meno degli attuali assetti politici, a partire da quella che in questi decenni, senza esitazioni, siamo stati abituati a chiamare «coalizione» di centrodestra. Le decisioni relative a queste tre Regioni ci faranno comprendere se l’alleanza fra Salvini e Berlusconi è materia per gli storici della politica o se, invece, continuerà a rappresentare la principale chiave di lettura per analizzare gli equilibri fra partiti e schieramenti. È evidente, infatti, che le scelte interne al centrodestra avranno ripercussioni sull’intero quadro politico.
Al momento i rapporti fra il leader della Lega e Forza Italia sono al minimo storico. Salvini ha mandato in avanscoperta il segretario regionale abruzzese del Carroccio per far capire agli Azzurri che la musica sta cambiando. Anzi che è già cambiata. In queste ultime ore ha ripetuto più volte che il partito di Berlusconi deve scegliere fra la Lega e il Pd. Tajani ha risposto che Forza Italia lavora all’unità del centrodestra, che è alternativa ai democratici, che il partito è impegnato in un’attività di riorganizzazione sul territorio per intercettare i voti dei moderati e che quella al governo gialloverde è un’opposizione costruttiva.
C’è apprezzamento per quanto fatto sull’immigrazione, ma giudizio negativo sul decreto dignità e su alcuni orientamenti in ambito economico. Il numero due di Forza Italia, forte di quei sondaggi che segnalano come la maggioranza degli italiani sia favorevole alle grandi opere, offre a Salvini una sponda parlamentare su questo fronte, a partire da Tav e Tap.
Alle regionali in Abruzzo mancano molte settimane e, quindi, ci sono ancora spazi per recuperare il dialogo. Toti, pontiere fra Lega e Forza Italia e testimonial naturale del buon funzionamento dell’alleanza fra i due partiti a livello regionale (oltre che alla Liguria, si pensi alla Lombardia, al Veneto e al Friuli Venezia Giulia), invita il proprio partito a non fare un’opposizione «rancorosa», a cogliere i segnali di cambiamento reclamati dagli elettori, rinnovando sul serio (e non a parole) la classe dirigente e modificando schemi interpretativi e narrazione. La sua idea è quella di un nuovo centrodestra nel quale alla Lega si affianchi un polo moderato.
Obiettivo? Evitare che l’alleanza fra Salvini e Di Maio si rafforzi al punto di strutturarsi come proposta politica definitiva. La durata dell’attuale governo è un discrimine di assoluta rilevanza per dare a queste strategie il giusto significato. E, infatti, più si indebolisce il rapporto fra Lega e Forza Italia, più si rafforza l’alleanza fra leghisti e grillini. Il «Capitano» è nell’invidiabile situazione (almeno per ora) di poter scegliere fra più opzioni, forte del consenso popolare di cui gode e dei bagni di folla ai quali si sottopone volentieri (ore e ore di selfie!), anche per continuare a segnalare all’interno e all’esterno della maggioranza la forza legittimante delle proprie scelte.
In fondo, quella che si sta giocando nel centrodestra (e non solo) è una battaglia anche psicologica. Da una parte c’è Salvini, che comunica a tutte le ore del giorno e della notte e con tutti i mezzi a sua disposizione, che solleva temi di discussione (l’ultimo quello sul servizio militare), che conduce una crociata appassionata contro il politicamente corretto, che si dà un gran da fare per diventare simbolo indiscusso del ceto medio e che produce una rappresentazione di sé in linea con le aspettative dell’italiano della porta accanto. Dall’altra c’è Berlusconi, al quale gli elettori non di sinistra devono riconoscere il merito di aver creato in Italia il centrodestra e di aver traghettato il Paese dalla Prima alla Seconda Repubblica, che non accetta l’idea di essere considerato un nonnetto da parcheggiare ai giardinetti. Da una parte c’è il «torsonudismo» e il «felpismo di lotta e di governo», simulacro dell’uomo forte al comando, espressione di quell’ideologia della normalità anti-elitaria che fa da sfondo alla comunicazione in salsa populista e sovranista e sintomo certo della sindrome da autosufficienza. Dall’altra c’è lo smarrimento, la paura dell’isolamento e dell’evanescenza, lo spartito del contenimento del danno che fa suonare una musica non sempre orecchiabile, a volte persino ripetitiva. In mezzo c’è la complessa gestione della transizione di uomini ed idee.
Transizione che può avere gli esiti più disparati, attese le differenti intonazioni comunicative.
Diciamo la verità: la Lega senza Forza Italia non sarebbe più il centrodestra, così come Forza Italia senza la Lega sarebbe destinata, probabilmente, all’irrilevanza. E chiediamoci: che cosa accadrebbe se Renzi si staccasse dal Pd e fondasse un nuovo movimento insieme con chi dentro Forza Italia è disposto a rompere con Salvini (al momento sono pochissimi)? Si creerebbe sì un rassemblement moderato, l’Italia «altra» rispetto al pantaleghismo, ma contemporaneamente si rafforzerebbe l’asse fra il leader del Carroccio e Di Maio, che gioco forza dovrebbe vedersela, a quel punto, con il feeling, ancora più consistente, fra la parte di sinistra del Pd e la componente grillina che fa capo a Fico. Insomma, manovre centrifughe determinerebbero spinte centripete rispetto all’attuale quadro politico.
Per le opposizioni è inutile sperare nell’implosione dell’esecutivo. Il potere è un collante straordinario e, almeno fino alle prossime europee, è difficile che qualcuno possa mettere in discussione l’esigenza di stabilità del nostro Paese, considerando l’importanza della prossima legge di bilancio, la possibile aggressione all’Italia da parte di fondi speculativi, la variabile spread e la volontà dei contraenti il patto di governo di avviare flat tax, reddito di cittadinanza e riforma della Fornero. È vero che il governo Conte è come un’automobile (la metafora è del saggio Giorgetti), con Tria a far da freno per rassicurare mercati ed Europa, Salvini e Di Maio a far da acceleratori, il sottosegretario alla presidenza del consiglio a far da frizione per muovere il veicolo senza che vada a sbattere. È vero che c’è un abisso fra il modo di comunicare pacato e istituzionale di Conte e quello più «spettinato» di Salvini. È vero che ci sono divergenze fra Lega e Cinque Stelle su molte questioni. Ma, fatte salve situazioni a oggi imprevedibili, la maggioranza terrà. La voglia di dimostrare il cambiamento è tanta.
Il centrodestra è davanti a un bivio. La politica è davanti a un bivio. E allora, meglio scegliere da che parte stare, piuttosto che rimanere in balia degli eventi.