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Le «sonorizzazioni» dell’Afghanistan d’oro

 
Ugo Sbisà

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Ugo Sbisà

Le «sonorizzazioni» dell’Afghanistan d’oro

La prestigiosa associazione “Schallplattenkritik Deutschland”, attiva da sessant’anni e formata da critici musicali, editori e musicologi tedeschi, austriaci e svizzeri, ha inserito nella categoria “musica etnica tradizionale” delle proprie segnalazioni quadrimestrali l’album “I don’t want your war – Afghanistan 1969”

Martedì 16 Gennaio 2024, 11:39

La prestigiosa associazione “Schallplattenkritik Deutschland”, attiva da sessant’anni e formata da critici musicali, editori e musicologi tedeschi, austriaci e svizzeri, ha inserito nella categoria “musica etnica tradizionale” delle proprie segnalazioni quadrimestrali l’album “I don’t want your war – Afghanistan 1969”. Se ne diamo notizia in questa rubrica, è perché il principale autore delle musiche contenute nel disco – stampato solo in vinile ed edito dalla EGP – è il monopolitano Alessandro Palmitessa, clarinettista e sassofonista diplomatosi al Conservatorio “Nino Rota” della sua città e perfezionatosi ai corsi di Siena Jazz, prima di trasferirsi in Germania, dove risiede a Colonia sin dal 1997 svolgendo una apprezzata attività di solista e compositore.

Il disco in questione, nato da un’idea progettuale di Geremia Carrara, ha una storia abbastanza particolare, perché raccoglie la “sonorizzazione” musicale di un documentario girato in Afghanistan nel 1969 dalla cineasta amatoriale romana Anna Bavicchi e successivamente donato all’Archivio nazionale del cinema di famiglia di Bologna che lo ha messo in circolazione. Il filmato è un reportage decisamente prezioso sulle condizioni di vita in quel Paese ben prima che fosse martoriato da una guerra infinita e successivamente abbandonato all’integralismo del regime talebano.

Quello che vi appare, infatti, è un Afghanistan a suo modo moderno e occidentalizzato, caratterizzato da una vivacità sociale e culturale decisamente all’avanguardia e da una condizione femminile anni luce avanti rispetto agli attuali giorni cupi. Presentato nel 2022 a Moers, la città tedesca sede di un importante festival di musica d’avanguardia, il film si è appunto avvalso di questa singolare colonna sonora, registrata in quell’occasione da una formazione multiculturale nella quale, oltre a Palmitessa nella doppia veste di autore ed interprete, suonavano un altro pugliese, il chitarrista barese Cosimo Erario, l’irakeno Bassem Hawar al djoze (un lontano parente del violino occidentale), l’afghano Daun Khan Sadozay al rubab (liuto delle popolazioni pashtun) e la cantante tedesca Almut Küne. Benché concepita a supporto delle immagini, la musica di Palmitessa si dimostra in grado di vivere autonomamente creando momenti di grande suggestione nei quali la koiné culturale allestita nel gruppo passa senza scossoni dal materiale etnico (rinforzato anche dalla presenza di due brani tradizionali afghani come “Gul De pa Zulfo” e “Aisha”) a un contesto contemporaneo nel quale la musica popolare si tinge di jazz spingendosi al confine dei territori dell’avanguardia, senza però mai perdere il filo del discorso o addentrarsi in verbose sperimentazioni, come a voler ricordare che tradizione e modernità non sono valori necessariamente conflittuali se si ha la capacità di dosarli con equilibrio.

Una riflessione, quest’ultima, che va ben oltre il semplice significato musicale di un disco non a caso dedicato alle donne afghane, ma anche a quelle iraniane e di tutti gli altri Paesi nei quali l’affermazione della dignità femminile è al centro di una lotta quotidiana contro regimi oppressivi che ne soffocano ogni libertà. Un motivo in più, per apprezzare la portata del progetto.

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