Tripla data in Puglia per Ron, che sarà in concerto il 1 aprile a Lecce (Teatro Apollo), il 2 a Taranto (Teatro Fusco), e il 6 maggio a Monopoli (Teatro Radar), in occasione della tournée teatrale prodotta da Trident Music che prende il nome dall'ultimo album di inediti, «Sono un figlio». Nuove canzoni insieme al suo immenso e raffinato repertorio, che prenderanno vita in una dimensione live con suoni e arrangiamenti essenziali e grande importanza ai testi.
Torna a cantare in teatro, un palco che fa la differenza rispetto agli altri?
«Ognuno ha un posto preferito dove cantare, e il teatro ha tutto un mondo dietro, soprattutto quello all'italiana. L'acustica è importante, la gente seduta ascolta e apprezza. Si entra in un mondo che sa il fatto suo. Poi cantare le mie hit insieme ai pezzi nuovi, o a canzoni che non eseguo dal vivo da tempo, la costruzione di una scaletta, soprattutto per il teatro, richiede sempre molta cura».
Da artista a spettatore: ha un concerto che le è rimasto nel cuore?
«Sicuramente quello di Cat Stevens a Roma, al Palazzo dello Sport. Dietro di me c'era Loredana Bertè, incavolata come una pazza perché le avevano portato via il posto, lo stesso Stevens si fermò. Però continuo anche oggi ad ascoltare la musica, mi lascio trasportare da ciò che mi ispira: in questo periodo sento particolarmente vicino Ethan Gruska, un pianista pazzesco e cantante strepitoso con atmosfere meravigliose».
Siamo al terzo anniversario dal lockdown, che periodo è stato per lei quello stop forzato dovuto all'emergenza sanitaria?
«Ormai siamo ritornati praticamente alla normalità, ma quello per me è stato un periodo produttivo, ho chiamato il mio gruppo e buttato giù idee, la musica mi ha salvato dalla noia. Ho anche coinvolto alcuni ragazzi che scrivono cose bellissime, e i lavori li ho inseriti nel disco: mi rende felice vedere un giovane così innamorato della musica».
A proposito, cosa risponde quando incontra ragazzi alle prime armi che le chiedono consigli su come entrare in questo mondo?
«Siamo in un'epoca particolare, perché oggi ci sono tantissimi giovani che fanno musica di un certo tipo, dal rap alla trap, e hanno risultati enormi in termini di follower e vendite, ma ce ne sono altrettanti che preferiscono un cantautorato più vicino alla mia generazione, ma per loro entrare in una casa discografica è praticamente impossibile. Perché cercano quello che funziona in questo momento. Quindi non sai mai cosa consigliare, non basta più».
Recentemente ha incontrato in Basilicata alcuni fan molto speciali, gli anziani ospiti di una Rsa: che momento è stato?
«Molto emozionante. Sono stato legato alla mia nonna paterna, una donnina eccezionale (la «donnina piccola così di "Attenti al lupo", ndr.), mi raccontava delle due guerre, della fabbrica di tabacco, delle mondine, ritrovarmi in sala con questi nonni che hanno intonato, a memoria, "Non abbiam bisogno di parole" è stato inspiegabile. La conoscevano benissimo, e sono stati un pubblico molto attento».
Lo scorso 4 marzo Lucio Dalla avrebbe compiuto 80 anni, come vive il suo ricordo?
«Nel tour gli dedico un momento ogni sera, perché ci sono personaggi che non si possono lasciare indietro. Tutti meritano qualcosa, ma lui era talmente particolare, aveva inventato un modo di vivere, di essere, di cantare unico, che è impossibile dimenticarlo. Non voglio sminuire gli altri, De André, o Battisti, anche lui fresco di anniversario, ma attaccare "Futura" in teatro è un'emozione irripetibile».
Dopo così tanti anni di carriera c'è ancora qualcosa che la emoziona?
«Per questa tournée mi è successo di riascoltare alcune delle mie prime cose per scegliere i brani da portare in teatro. C'è un brano, "Nuvole", testo di Lucio e musica mia, dal disco "Una città per cantare", che mi ha ricordato un momento di importanza assoluta: ho rivissuto il periodo delle registrazioni, era la mia rinascita, avevo cominciato a scrivere anche i testi. Un mondo meraviglioso, mi ha preso un nodo in gola».