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Mozart troppo bianco e Beethoven invece era troppo... nero

 
Ugo Sbisà

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Ugo Sbisà

Mozart troppo bianco e Beethoven invece era troppo... nero

Musica tra bufale e suprematismi: la riflessione dopo la smentita dell'Università di Oxford

Sabato 03 Aprile 2021, 10:53

Se Mozart può creare imbarazzo per il suo essere troppo marcatamente «bianco», di Beethoven è stata troppo a lungo tenuta sotto silenzio la componente... nera!
Ora che la notizia diffusa dal britannico Telegraph - e ripresa con una certa enfasi anche in Italia - si è ridimensionata e che l’Università di Oxford ha negato di aver mai messo all’indice (almeno ufficialmente) lo studio di Mozart in quanto compositore in grado di creare «imbarazzo» negli studenti extraeuropei (ma resta aperta la questione suprematista sulla notazione...), qualche riflessione diventa necessaria anche per capire dove ci stia portando la follia del «politically correct».
È notizia tutto sommato recente quella che in alcune accademie musicali americane sia stato suggerito di non eseguire più composizioni definite nei titoli come «danze negre» (povero Gottschalk...) perché, al di là del loro eventuale, intrinseco valore musicale, sarebbero rievocatrici dell’epoca dello schiavismo e risulterebbero offensive per i cittadini afroamericani. Per lo stesso motivo, ci si è spinti oltre, arrivando a ritenere che persino i celebrati Children’s Corner del francese Claude Achille Debussy sarebbero una pagina sconveniente: la raccolta pianistica include infatti Golliwog’s Cakewalk, il cui titolo fa rirerimento a una danza di schiavi in voga negli Stati Uniti fra il Sette e l’Ottocento. E l’elenco potrebbe proseguire a lungo, abbracciando la storia, il cinema, la letteratura e tutte quelle espressioni, quegli eventi che fino a oggi abbiamo considerato fondanti della nostra civiltà, della storia del pensiero occidentale.


Tornando a Mozart, vera o falsa che sia la notizia, la sua circolazione la dice lunga su molte cose, a cominciare appunto dalla profonda crisi di identità che affligge l’emisfero occidentale, che da una parte professa il credo dell’inclusione, ma poi invece finisce per escludere. In questo caso, anziché aprire allo studio - tecnico e teorico - dei linguaggi di derivazione extraeuropea, si «impoverisce» quello che appartiene al Dna del Vecchio continente in una sorta di assurdo mea culpa, quando invece basterebbe vedere quanti interpreti di origine afroamericana o mediorientale, dalle leggendarie cantanti liriche Shirley Verrett e Leontyne Price al pianista iraniano Ramin Bahrami, si siano misurati con autori lontani mille miglia dalle radici dei loro paesi di nascita, ottendendo risultati eccezionali.
E Beethoven nero? Una provocazione ovviamente, ma fino a un certo punto: «Beethoven era nero», fu infatti uno degli slogan della protesta afroamericana degli Anni ‘60 che domandava provocatoriamente di quale fama il compositore avrebbe goduto nella storia della musica se mai avesse avuto la pelle scura. Una provocazione, ma non solo, considerato che c’è persino chi si è spinto a sostenere che il volto del musicista avesse dei tratti irregolari vagamente negroidi, arrivando persino a ipotizzare che i suoi avi fiamminghi potessero essersi meticciati con donne di colore. (Del resto, non era forse nero Alexandre Dumas, il «padre» di D’Artagnan? E in quanti lo ribadiscono?).


Ma su «Ludovico Van» (chi ha l’età per ricordare Arancia Meccanica capirà il nomignolo), c’è una storia molto piùsuccosa che riguarda una delle sue pagine più note, ovvero la Sonata per violino e pianoforte in la maggiore n. 9 op. 47, universalmente nota come Sonata a Kreutzer e immortalata anche dall’omonima novella di Lev Tolstoj. Il suo titolo originario era di Sonata mulattica, perché Beethoven la compose e la dedicò a George Bridgetower un violinista di padre europeo e madre africana col quale la eseguì anche in pubblico. I due furono in grande amicizia, fino a che le attenzioni di entrambi non ricaddero sulla stessa fanciulla, che però ebbe il torto di preferire il violinista. La qual cosa indusse Beethoven a cambiare rabbiosamente la dedica in favore del virtuoso francese (bianco) Rodolphe Kreutzer che però si rifiutò sempre di eseguire l’opera, giudicandola incomprensibile. Di quella dedica originaria non si parla frequentemente; in questo caso però l’imbarazzo non sta nell’evitare di imporre un suprematismo bianco, ma nel rimuovere accuratamente un... elemento nero. Un motivo in più per considerare certe sortite in apparenza «politicamente corrette», come frutto di una inutile, ma forse comoda ipocrisia.

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