Non è bastato lo stop «imposto» dal Covid con la cancellazione dei concerti e di tutte le attività collaterali «in presenza» dedicate alla musica e alla sua promozione.
Malgrado la mole di difficoltà che non sembrano ancora prossime a diminuire, i dischi hanno continuato a circolare e in molti casi - forse persino aiutati da un lockdown che ha lasciato più tempo da dedicare all’ascolto e alla lettura - hanno ottenuto risultati lusinghieri. Come Resonance & Rhapsodies, il doppio cd del sassofonista barese Roberto Ottaviano - edito dalla salentina Dodicilune - che dopo aver raccolto allori da parte di tutta la stampa specializzata europea, ora può anche fregiarsi del titolo di «Disco italiano dell’anno» assegnatogli dal «Top Jazz», il pluridecennale referendum indetto dalla rivista specializzata Musica Jazz che premia le eccellenze italiane e internazionali dell’anno appena concluso, affidandosi alla votazione della stragrande maggioranza dei critici italiani.
Un risultato che premia innanzitutto il coraggio di Ottaviano, tornato sulle scene discografiche con un progetto solido, ambizioso e poco incline a strizzare l’occhio agli ascoltatori. Ma non l’unico, se si considera che, nello stesso referendum, il nome di Ottaviano appare in classifica anche sul podio di altre due categorie: lo troviamo infatti al secondo posto come «Musicista italiano dell’anno», subito dopo il pianista romano Enrico Pieranunzi, ma davanti - e scusate se è poco - a due «senatori» come il pianista Franco D’Andrea e il trombettista Enrico Rava, ma anche prima di un altro trombettista, il sardo Paolo Fresu. Insomma, personaggi sulla cui popolarità c’è poco da discutere. E un altro secondo posto lo conquista nella categoria «Gruppo italiano dell’anno» con i suoi «Eternal Love», preceduto di soli due voti dall’Horn Trio della contrabbassista Federica Michisanti. Una categoria, quest’ultima, nella quale Ottaviano non è nemmeno l’unico barese: al sesto posto troviamo infatti i Cosmic Renaissance del trombonista Gianluca Petrella. E ancora, per restare in Puglia, non si può fare a meno di ricordare, nella classifica discografica italiana, il nono posto del contrabbassista salentino Matteo Bortone con il suo No Land’s edito dalla Auand del biscegliese Marco Valente e del quale torneremo presto a scrivere.
Risultati che la dicono lunga sulla vitalità e originalità del jazz pugliese e in particolare di quello meno incline a seguire derive modaiole e invece orientato a perseguire una solida progettualità che affonda le radici nell’eredità di decenni lontani solo cronologicamente, ma ancora vivi e palpitanti per quanti vi si sono formati. Ed anzi, per dirla tutta, anche alla luce di quest’ultima prestigiosa affermazione, lascia perplessi la scelta di non includere Ottaviano fra i testimonial - oltre che fra le «teste pensanti» - della corsa pugliese alla Capitale della Cultura, poi vinta da Procida. Ma tant’è, si dice nemo propheta in patria. E come dimostra il «Top Jazz», per fortuna i riconoscimenti arrivano lo stesso.