Dal classicismo luminoso e cantabile di Schubert all’inesausta voglia di Schumann di rinnovare la musica, dando al mondo dei sentimenti una rappresentazione sempre più fantastica. Saranno due sinfonie molto simboliche, per diversi motivi, ad inaugurare il cartellone sinfonico della Fondazione Petruzzelli, costretto per ora a proseguire con le trasmissioni degli eventi in streaming. Il primo appuntamento è per venerdì 15 gennaio alle 20,30, con l’Orchestra del Teatro Petruzzelli condotta dal suo direttore stabile Giampaolo Bisanti: in programma la Sinfonia n. 3 di Franz Schubert e la Sinfonia n. 4 op. 120 di Robert Schumann. Il politeama aprirà le porte alla città appena la situazione sanitaria lo consentirà, ma nel frattempo i concerti già programmati nel mese di gennaio saranno fruibili gratuitamente, in onda sulle piattaforme digitali del teatro: il sito fondazionepetruzzelli.it, oltre ai canali social ufficiali, tra Facebook e YouTube.
«La Sinfonia n. 3 di Schubert ce l’ho molto a cuore - spiega Bisanti - perché è stata uno dei brani del mio debutto con l’Orchestra della Fenice e anche con l’Orchestra della Rai di Torino. Perciò sono molto felice ora di poterla eseguire con la “mia” Orchestra del Petruzzelli. Schubert in genere esprime tristezza e malinconia nelle proprie opere, ma il lavoro si distacca da questa visione. Aveva appena 18 anni, quando la scrisse per l’Orchestra del Convitto di Vienna in cui si trovava: era sostanzialmente un’orchestra di principianti, in cui il compositore suonava la viola. E in tutto il brano vi è un’impronta di leggerezza e brillantezza molto viennese, senza patetismo. Con la curiosità dell’ultimo movimento in re maggiore, il “Presto vivace”, una sorta di tarantella all’italiana. Nonostante ciò, è una sinfonia deliziosa, classica e ben strutturata, senza stravolgimenti formali. Una delle più gradevoli da ascoltare».
Che tipo di insidie può riservare una sinfonia come questa, in apparenza senza grandi difficoltà per l’orchestra?
«Poche in realtà, essendo una scrittura piuttosto classica. Eppure nella gestione della forma, in generale, l’ultimo movimento richiede all’orchestra di stare sempre molto compatta. È una sorta di ostinato su un ritmo di tarantella, e bisogna lavorarci un po’».
A differenza di Schubert, Schumann scrive la Quarta Sinfonia nel 1841, nel pieno della maturità.
«A Bari ho già diretto la Seconda di Schumann, mentre la Quarta è per me un debutto. Questa è molto diversa, sia dal punto di vista intellettuale che formale, perché Schumann vuole rompere gli schemi tradizionali ed uscire da una visione architettonica classica: non ci sono trovate avveniristiche, ma vi è la mancanza totale di soluzione di continuità tra i movimenti».
Cosa chiederà in tal caso all’orchestra?
«È una sinfonia che necessita di una discreta ricerca sul suono e sull’espressione. Dobbiamo insinuarci tra le pieghe del pensiero di Schumann, che qui diventa più concettuale e cervellotico. Tra Schubert e Schumann, in questo concerto, siamo abbastanza all’opposto: due lavori contrastanti sia per il pathos, che per la forma e il tipo di esecuzione. Inoltre quando si esegue Schumann c’è l’esigenza di scavare nel suono, di penetrare la sua psiche: e lo avverti, quando senti di padroneggiare questo genere di musica. La tendenza a uscire dagli schemi è evidente, pur essendo intriso degli stilemi della propria epoca. Però è incredibile quanto ci provi, e ciò viene fuori in tutto il brano».
Nelle esecuzioni in streaming cambia l’approccio al tipo di suono, nella direzione e nell’esecuzione?
«Durante le prime esperienze eravamo un po’ più tesi, perché suonare senza pubblico è un po’ come registrare e incidere un concerto. Perciò chiedo sempre ai professori d’orchestra di reagire come se si trattasse di un concerto dal vivo con il pubblico. È una situazione strana e inusuale, ma adesso posso dire che abbiamo piena contezza di tale dimensione».