Un dialogo vivo tra voce e sax che si sfiorano, si scontrano, si sostengono: è A Due Voci, il nuovo album del duo composto da Lucia Filaci e Vittorio Cuculo, che dopo i rispettivi percorsi solisti e la vittoria nella categoria jazz di LAZIOsound, inaugurano insieme un nuovo capitolo della loro ricerca artistica. Il disco, uscito per AlfaMusic, attraversa jazz, pop, cantautorato e sperimentazione elettronica, e il 19 dicembre arriva in Puglia, all'Oltretomba Jazz Club di Poggiardo.
Il titolo che avete deciso di dare al disco nasce dall'idea di dialogo, relazione. Come è venuta l'idea di unire due percorsi solisti già interessanti?
«Entrambi avevamo il desiderio di esplorare qualcosa di moderno, contemporaneo, nonostante la nostra formazione arrivi dal jazz e dalla musica classica. Abbiamo ripreso in mano qualcosa scritta tempo fa, un dialogo sulla dualità artistica, e ci abbiamo unito i nostri stili, mescolandoli insieme».
Tra l'altro proprio il linguaggio di quest'album parte dalla tradizione per arrivare alla modernità: è una scelta che avete costruito nel tempo o siete partiti da questo concetto?
«Abbiamo proprio voluto fare questo percorso, per dare una linea ben precisa. È stato un percorso di studio che abbiamo vissuto insieme e volevamo proporlo anche all'ascoltatore: dal jazz tradizionale fino ad arrivare ai richiami all'elettronica».
È un linguaggio molto aperto, quale può essere il rischio di ibridare generi così diversi, e quali invece i punti di forza?
«Un'operazione del genere potrebbe essere vista come pensata per far arrivare la nostra musica a più persone, quasi un "tradimento" rispetto al jazz. Allo stesso tempo però questa cosa ci ha fatto lavorare molto con i nostri strumenti: il sax ha trovato nuove idee, la ritmica era già legata a un discorso più mainstream. Il tutto si è unito alla voce per dare vita a questo lavoro».
Siete anche coppia nella vita: ci sono stati compromessi a cui siete dovuti scendere, anche in studio?
«Le due cose non sono scisse, la dualità è proprio l’arte della comunicazione: cerchiamo sempre un equilibrio, artisticamente e umanamente, per creare un messaggio unico, univoco, e dialogare col gruppo, che poi alla fine si è rivelato essere famiglia vera e propria. Ognuno porta sul tavolo quello che ha, e l'apporto che hanno dato è stato fondamentale dal punto di vista degli arrangiamenti e delle idee».
Avete costruito un dialogo intenso tra voce e sax: quali immagini o sensazioni volevate trasmettere a chi vi ascolta?
«Ci sono brani particolarmente significativi. "Notte", la ballad, è un botta e risposta. "Non sense", con sonorità che sconfinano nel rock, stili che si incontrano ed entrano in contrasto. È un discorso di rispetto e ascolto reciproco, superare le cose insieme, prendersi per mano e fare qualcosa di diverso. L'ambientazione musicale è stata il territorio dove siamo riusciti a fonderci con le voci».
Il jazz nella generazione dei giovani come sta?
«La dimensione della musica live forse si è un po' persa. Chi è più avanti con l'età, i concerti li frequenta, forse per trasmettere qualcosa ai più piccoli si potrebbe provare a far entrare il jazz in contesti più mainstream, come i talent. Perché quando i ragazzi ascoltano musica diversa hanno piacere, interesse. Però bisogna portarli a quel grado di ascolto».
Il 19 dicembre sarete in Puglia, come sarà la resa dal vivo del disco?
«È una terra che accoglie con molto affetto, è tutto molto estemporaneo e naturale. Non amiamo preparare schemi prima dei concerti, ci lasciamo guidare dall'estemporaneità e comunichiamo ciò che proviamo, anche in base al territorio. È un periodo felice, siamo pieni di progetti».
















