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Ugo Sbisà
11 Novembre 2020
È un volume utile e necessario quello che il pianista barese Emanuele Arciuli dedica alla Bellezza della nuova musica. Perché a prescindere dall’esiguo numero di pagine – standard peraltro richiesto dalla collana «Le grandi voci» della Dedalo (pagg. 77, euro 11,50) – propone dei preziosi spunti di riflessione per chiunque desideri orientarsi tra le musiche dei nostri giorni riuscendo anche ad apprezzarle.
Navigare tra i linguaggi del secondo Novecento è impresa notoriamente ardua, così come cercare di catalogarli con precisione ricercando una coerenza di evoluzione storica e stilistica che consenta di seguire tutto con un unico strumento di lettura. E tra le conseguenze di questo panorama che, dagli Anni ’50 fino ai nostri giorni, si è fatto sempre più variegato, c’è innanzitutto un equivoco che ha generato nel pubblico forti diffidenze: la radicata convinzione che la nuova musica sia ostica. Il motivo è presto detto e risale all’epoca in cui i cosiddetti «contemporanei» dichiararono guerra alla melodia, ottenendo principalmente il risultato di ammantare di solipsismo le proprie composizioni, fondamentalmente frutto di elaborate e complesse costruzioni concettuali.
Arciuli non si sofferma sul particolare, ma è il caso di ricordare che persino un grande come Nino Rota venne irriso tanto per la sua attività di compositore cinematografico, quanto per la scelta di non tradire mai il primato della melodia. E che fra i suoi principali accusatori non vi furono solo i colleghi più all’avanguardia, ma anche certi cenacoli della sinistra intellettuale che poi, col tempo, sono stati protagonisti di imbarazzate (e imbarazzanti) «inversioni a u». Oggi la melodia non fa più paura a nessuno, ma al tempo stesso - ricorda l’autore - viene reimpiegata con consapevolezze ben diverse rispetto a cinquant’anni fa e più.
Ma torniamo ad Arciuli. Se da una parte le varie definizioni di musica moderna, musica contemporanea e simili ingenerano diffidenze (così com’è accaduto nel jazz, diventato sinonimo di caos organizzato dopo l’avvento del free), non c’è dubbio che anche l’atteggiamento degli ascoltatori sia «viziato» dalla ricerca di linguaggi che rispondano esclusivamente alle proprie aspettative. Che poi sarebbe come dire «mi piace Monna Lisa e vorrei che tutti i ritratti fossero dipinti così». Di qui l’invito a recuperare un briciolo di curiosità nei confronti di ciò che non si conosce e ad accostarvisi cercando di individuare i più corretti approcci all’ascolto.
Arciuli prende ad esempio tre compositori, Stockhausen, Cage e Ligeti e ne indica alcune opere – (utile l’impiego del QR Code per rinviare subito agli ascolti) – fornendo delle sintetiche, ma illuminanti indicazioni per comprenderle, con un linguaggio che, se non si distacca dal punto di vista dell’interprete musicale, brilla sempre per l’assoluta chiarezza con la quale può raggiungere anche l’appassionato risultandogli perfettamente chiaro e comprensibile.
L’esposizione poi prosegue con «i» minimalismi e il cosiddetto Postmoderno, generi che, a detta di Arciuli, continuano a esercitare la loro influenza ancora ai nostri giorni. Qui i linguaggi si aprono maggiormente alle contaminazioni con le musiche che un tempo si definivano «altre» e spiace solo che l’approccio scelto dall’autore non abbracci, nel caso del Minimalismo, una lettura più trasversale che ne spieghi le procedure compositive ed esecutive anche alla luce dell’interesse per quelle discipline orientali che negli Anni ‘60 tanto affascinarono alcuni compositori come Philip Glass, Steve Reich o Terry Riley. Guardacaso tutti musicisti che hanno confessato di essersi orientati verso una ricerca mistica anche grazie all’ascolto di A Love Supreme di John Coltrane.
Ovviamente, lo sguardo panoramico di Arciuli non poteva escludere i viventi e fra questi ci sono anche quanti gli affidano l’interpretazione delle proprie pagine. Ed è proprio su di loro che si concludono le riflessioni dell’autore, grazie al quale sarà possibile entrare in contatto con nomi nuovi ai più, ma anche con pagine musicali rivelatrici di una scena ricca di sorprese.
Insomma, la musica del Terzo millennio è lì che attende di essere scoperta e di rivelarsi ad ascolti che Arciuli suggerisce reiterati. Perché anche lo stesso libro, letto più volte, si «scopre» e si apprezza diversamente. Resisterà la nuova musica al passare del tempo ed entrerà nella Storia? Lo scopriremo vivendo. E soprattutto ascoltando.
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