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La testimonianza
Roberto Ottaviano (musicista)
02 Novembre 2020
Forse per via del fatto che ho ormai superato i sessanta e vedo andar via tanti amici (in questi ultimi mesi alcuni tra i più cari…), forse perché non ho più tanta voglia di arrabbiarmi e preferisco alzarmi nelle spalle e fare delle delusioni una ordinaria amministrazione, forse perché come diceva Ennio Flaiano «Non avendo molta fiducia nel futuro, faccio i miei progetti per il passato…», sento che la mia vita sta cambiando e non sarà più la stessa una volta usciti fuori da questa emergenza.
Però c’è una consapevolezza, come se sia caduto un velo, e certe cose appaiono ora per quel che sono in realtà. Come se una bolla sia scoppiata, e non è solo il carico di tensione, l’incertezza e la paura della pandemia che l’ha fatta esplodere, ma una condizione evidentemente resiliente che è stata risvegliata, mettendoci ancora una volta faccia a faccia con la nostra natura.
Certo, molti tra noi sono attanagliati da tante riflessioni, sono in «ascolto» delle informazioni e dei pensieri che circolano, provano ad elaborarli in strategie e pratiche utili a reggere l’impatto disastroso che si registra nelle filiere più deboli (ma anche in quelle che hanno le spalle forti, perché la ricchezza di chi sta ai vertici delle piramidi, sacrificando chi sta alla base, vedrà prima o poi crollare tutto l’edificio).
Però c’è tanta gente che urla la sua esasperazione e la traduce in comportamenti distruttivi e slogan a buon mercato (Libertà ?), fomentando rissosità e immaginando che queste produrranno risposte efficaci.
Ho avuto una carriera tutto sommato soddisfacente fino ad oggi e posso tirare un bilancio onestamente positivo. Ho fatto in tempo a conoscere uomini, luoghi, processi operativi e laboratori creativi importanti per il nostro paese, e non solo. Evidentemente però la trasformazione di un certo percorso è stata bruscamente accelerata dal Covid. In questo momento io sono un privilegiato, ho la possibilità di poter continuare a svolgere la mia attività, per una parte didattica, attraverso lo smartworking, quindi non mi manca il minimo per la sussistenza. Vero è che ho perso tanto per ciò che riguarda il rapporto fisico con i miei studenti, proprio in un momento in cui ho ancora tanto da dare loro (alcuni sono stati costretti a laurearsi «a distanza»), per la mia attività concertistica, almeno due tour importanti, uno negli States ed uno tra Francia e Germania, un festival in Finlandia, solo per rimanere agli appuntamenti esteri.
Ho per fortuna fatto in tempo a registrare il mio ultimo disco per Dodicilune prima del lockdown e farlo uscire a Settembre. Confesso invece di non aver nutrito alcuna curiosità nei confronti dello streaming come pratica imitativa di un rituale che trova forza solo nell’incontro e nel contatto sociale. Sono uno che ha sempre creduto in un certo utilizzo della tecnologia, anche e soprattutto in ambito espressivo, tuttavia mi sembra così riduttivo ritenere che sia una cosa nuova il vedere un gruppo che fa il suo concerto in uno schermo, e mi rabbrividisce pensare che un Ministro, che dovrebbe confrontarsi e calarsi in un contesto che gli è ovviamente estraneo, abbia potuto immaginare che l’istituzionalizzazione di un Web Channel, con i termini di investimento che questo comporta, possa essere uno strumento utile alla conoscenza ed al conforto economico e professionale di un sistema, se non come accessorio e avendo prima di tutto messo in tutela e protezione una filiera ampia di lavoratori. Non basterebbe che la TV pubblica ripristinasse semplicemente la sua funzione?
Forse perché privilegiato però, credo che la questione non stia nell’uovo che manca oggi, ma piuttosto nella gallina che domani non ci sarà più. La trasformazione in atto, ci racconta una straordinaria fiducia digitale, cui l’isolamento ci sta abituando, tralasciando in questa narrazione alcune figure chiave che sono essenziali del processo creativo, sebbene si tenda a considerarle come superate. Sono quelle figure che hanno messo in relazione il pensiero di un autore con la sua messa in scena (e/o su documento tangibile). A tutto ciò si sono già sostituite in modo esponenziale, nuove professionalità e luoghi virtuali che fissano un diverso rapporto, e di conseguenza una differente estetica ed etica, tra opera e prodotto commerciale. Penso che dovere di ogni artista sia oggi più che mai soffermarsi a trasmettere, a chi non recepisce o ne recepisce solo alcuni aspetti, il concetto che alcune cose «immateriali» sono le fondamenta su cui poggia l’impianto identitario del genere umano, e di conseguenza fare in modo che il sostegno e lo stimolo alla crescita di queste cose e pratiche «immateriali» sia altrettanto importante quanto il sostegno alla realizzazione di oggetti di consumo, necessari o futili che siano.
Dobbiamo capire che, eliminato ogni orpello, ogni feticcio esterno, ogni simbolo tangibile di appartenenza (grado sociale o «clan» che possa definirsi...), insomma spogliati di ogni apparenza e oggetto che possiamo ostentare, e che serve solo a mascherare, noi siamo quel che abbiamo appreso e che si traduce in scelte. Scelte di relazione, di comunicazione, di attenzione, di velocità. Siamo fatti di educazione che è Cultura. Siamo fatti di educazione e Cultura che rispondono ad esperienze personali, familiari, condivise, che ci hanno fatto crescere, affrontare la vita e tutto quel che ci circonda, in un modo particolare. Educazione e Cultura che ci serve ad arginare il cinismo, la violenza, l’egoismo, ci serve ad annullare recinzioni immaginarie e concrete. Educazione e Cultura che non è solo quella certificabile (tanti dotati di certificazioni ne risultano deficitari infatti), ma che è nella passione del contadino che avrebbe voluto il tempo per studiare e leggere, che è nel tempo che si riconquista a dispetto della celebrazione della «produttività». Tra mille intrecci e invocazioni per la nostra economia che va in pezzi insieme ad una vasta geografia dei suoi settori, a noi sta mancando questa comunicazione. E sarebbe un messaggio utile a rivedere certe priorità per ridefinire il concetto di essere umano, concetto che in altri paesi forse è ben chiaro, e vede pari dignità a chi produce, oggetti, servizi, o semplici (?) emozioni.
Tocca a noi, non appena questo tempo sarà passato, perché sono sicuro passerà, ripopolare teatri e cinema, librerie, negozi di dischi, gallerie e i musei, e trascinarvi chiunque. Scatenare un nuovo Virus, che contribuisca a riordinare le priorità, per riconsiderare davvero ciò di cui siamo fatti.
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