Voce sublime, inglese con radici salentine, Carly Paoli sta incantando le platee del mondo. Benché i suoi natali siano oltre la Manica (Mansfield, Nottinghamshire), nelle vene scorre il sangue di Spongano, paese di origine del nonno materno, Apollonio Paoli. Dalla Carnegie Hall di New York al concerto alle Terme di Caracalla a Roma fino alla prestigiosa esibizione per il principe Carlo d’Inghilterra al Castello di Windsor: è già vasta la carriera dell’artista trentenne, che ha cantato accanto a volti internazionali come Andrea Bocelli, Josè Carreras Steven Tyler (Aerosmith), David Foster, Carrie Underwood, Jennifer Hudson, Zubin Mehta.
La sua «Ave Maria» è stata scelta come canzone ufficiale per l’Anno del Giubileo. Ma quando Carly Hopkisons, in arte Carly Paoli, ha capito che la musica sarebbe stata la sua strada? «Da quando ero piccola - risponde - perché avevo una voglia immensa di cantare davanti al pubblico e condividere le emozioni della musica. A sette anni mia madre decise di scrivermi ad una scuola dove studiavano canto, ballo e teatro. Fu lì che l’insegnante di canto disse a mia madre che avevo una voce molto forte e bella per la mia età. A 15 anni venivo ogni estate a Spongano, dove viveva mio nonno. Era il centro del mio mondo, aspettavo di essere lì con i miei amici e i miei cugini. Mio zio suonava la fisarmonica e scriveva canzoni. Fu lui che assieme al nonno mi portò a Torrepaduli, dove cantai in chiesa in occasione della festa patronale».
Come vive il suo successo?
«La musica mi ha portato in tutto il mondo e mi ha fatto vedere paesi che non potevo immaginare. Ho cantato a New York, Singapore, nel Canada. La musica mi ha fatto vedere il mondo con occhi diversi, ma la cosa più bella è che sto facendo questo bellissimo viaggio insieme con i miei genitori, le persone che amo più al mondo e che hanno creduto nelle mie capacità. Abbiamo lavorato tantissimo come famiglia per realizzare questo sogno».
Lei ha dedicato un singolo a Tito Schipa...
«È stato mio nonno che mi ha fatto conoscere la voce di Schipa con un cd. La prima canzone che mi ha fatto ascoltare è stata “I te vurria vasà”, brano con dentro una poesia che non c’è più nelle nuove generazioni. È stato così che mi sono innamorata della sua voce. Un tenore nato quando le distanze erano quasi irraggiungibili ma che è arrivato a conquistare le platee di tutto il mondo. Un cantante in grado di portare la musica al popolo. Spero che nella mia vita possa fare come lui, portare la musica a diverse culture e generazioni e fare innamorare di essa qualcuno come è accaduto a me».
Papà inglese, nonna materna salentina, che legame ha con questa terra?
«Quando qualcuno mi chiede come è il Salento, mi rendo conto che non riesco ad esprimere ciò che ho in mente senza avere un sorriso. Per me è un angolo di mondo dove avverto una sensazione di pace e tranquillità. I miei amici salentini sono per tutta la vita, non di passaggio. I salentini sono gente che apprezza la specialità delle cose semplici. E poi il mare, un azzurro che non ho visto in nessuna altra parte del mondo. Grande è il miodolore per la Xylella che sta distruggendo gli ulivi secolari del Salento».
Le piacerebbe cantare a Lecce?
«Non immagina quanto, è un sogno a cui penso ogni anno. Mi sono esibita in tutto il mondo, ma farlo a Lecce sarebbe completare il cerchio che parte dalla mia fanciullezza, con un pubblico che mi ha dato la voglia di intraprendere questa strada e dove ci sono le mie radici e i miei amici».