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Auto, il marchio lucano nell'asse italo-francese

 
Massimo Brancati (foto Tony Vece)

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Massimo Brancati (foto Tony Vece)

Tavares ha lanciato segnali rassicuranti: i posti di lavoro non si toccano e sono confermati tutti gli investimenti frutto di accordi precedenti alla fusione Fca-Psa

Venerdì 22 Gennaio 2021, 12:12

Stellantis. Non poteva esserci nome migliore da dare a quell'«astronave» atterrata nei primi anni '90 sulla piana di San Nicola di Melfi con un carico di speranza per il Sud del Sud. Era il 21 ottobre del 1989 quando, in una villa della collina torinese, Cesare Romiti e Gianni Agnelli parlarono del progetto dello stabilimento lucano che si concretizzò grazie a un investimento di 6.000 miliardi delle vecchie lire, di cui 1.400 stanziati dallo Stato. Melfi doveva nascere per salvare l'azienda a cui gli economisti avevano predetto morte certa. E, invece, la Fiat ha cambiato pelle, denominazione, si è «internazionalizzata», ha vissuto una fase di rilancio sotto la guida di Sergio Marchionne.

Che, con una visione lungimirante, ha tracciato la strada percorsa da Fca e Psa per partorire Stellantis. Il manager che amava i pullover aveva intuito la necessità di unire le forze per essere competitivi in un settore, quello dell'automotive, in profonda trasformazione, con lo sviluppo dell'elettrico come sistema di propulsione di massa. L'accordo con la Chrysler è stato il preludio a questa nuova fase italo-francese che vede lo stabilimento di Melfi ancora una volta strategico nell'economia dell'intero gruppo. La visita dell'amministratore delegato Tavares, accompagnato dal presidente Elkann, è il chiaro segnale che il vertice societario guarda con grande attenzione al sito lucano, candidato ad essere il cuore produttivo di Stellantis, quarto costruttore automobilistico al mondo con una proiezione di ricavi pari a oltre 170 miliardi di euro. Un colosso, insomma, grazie al quale Fca conta di smarcarsi definitivamente da visioni apocalittiche sul suo futuro in un contesto industriale internazionale sempre più competitivo.

Reduce dai guai connessi alla pandemia e alle interruzioni produttive dovute, da un lato, alla crisi del comparto e dall'altro alla necessità di adeguare gli impianti ai nuovi modelli, lo stabilimento lucano, con i suoi quasi 7mila dipendenti, ora guarda al futuro con rinnovato entusiasmo. Certo, gli effetti della Brexit, la situazione del diesel, le tensioni internazionali in alcuni Paesi, l'emergenza sanitaria sono variabili impazzite capaci di vanificare qualsiasi sforzo di rilancio, ma avere spalle più larghe e una maggiore disponibilità economica sono condizioni che consentono di affrontare tempeste e cataclismi. Ne sono consapevoli gli stessi operai di Melfi a cui Tavares ha lanciato segnali rassicuranti: i posti di lavoro non si toccano e sono confermati tutti gli investimenti frutto di accordi precedenti alla fusione Fca-Psa.

Era quello che volevano sentirsi dire per non intaccare un generale clima di fiducia: in qualsiasi accorpamento di soggetti industriali impegnati in un unico settore c'è sempre il rischio di imbattersi in un problema di sovracapacità che determina scelte dolorose per razionalizzare risorse e strutture. Non sarà questo il caso. L'ad di Stellantis sa bene che il patrimonio dell'ex Fiat, in termini occupazionali e di know-how, va salvaguardato nella sua interezza anche perché – come diceva Marchionne - alle sue spalle c'è la storia industriale di un intero Paese. Se è vero che il mondo del business non conosce sentimentalismi e orgoglio di appartenenza, Tavares può fondare le sue convinzioni soprattutto sulla dinamicità dello stabilimento lucano e sul suo cuore tecnologico, tra i più avanzati del comparto. Non a caso, durante la sua visita, il manager portoghese si è soffermato con attenzione sulle apparecchiature tecniche e ha più volte annuito di fronte alle spiegazioni del suo entourage. Avrebbe confidato ai suoi più stretti collaboratori che conta molto sul segmento Melfi, affidando alle produzioni con marchio Jeep un pezzo importante della competitività globale dell'intera azienda. Comincia con questa investitura la nuova era dell'ex Lingotto targato Basilicata: quell'”astronave” spuntata in mezzo al deserto lucano è pronta a decollare sotto una buona Stellantis.

(foto Tony Vece)

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