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Sui fondali del mare passeggia il passato

 
Silvio Perrella

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Silvio Perrella

Sedersi a guardare tra passi e soprabiti

La massa d’acqua vista da fuori, riflettente la luce e le nuvole, è un universo dello sguardo imparagonabile

Giovedì 14 Settembre 2023, 10:51

La panchina viene tirata giù come un’àncora. E man mano che scende si essenzializza, come sapesse che un volta laggiù dovrà farsi invisibile, puro appoggio per le terga squamate del signor Acciuga.

Il mare visto da fuori, riflettente la luce e le nuvole, ondulato, spumeggiante nei suoi andirivieni tra battigia e largo è un universo dello sguardo imparagonabile alla cecità pulsante che abita i fondali.

Più si va giù e più la luce perde in capacità penetrativa; prima gioca e trafigge la massa d’acqua e chi è lì con i propri occhi può far da sponda, può ancora cercare una familiarità di figure, un cenno di corrispondenza; poi che le palpebre siano aperte o chiuse è lo stesso, l’acqua diventa pressione scura, scurissima, moltitudine di buio.

Solo alcune creature riescono a vivere laggiù ed è di quelle creature che Acciuga va in cerca.

Non si sa dire se siano pesci o qualcos’altro d’indefinibile che viene dal mondo del prima, da un mondo che risalendo in superficie sparisce, non c’è più, evaporato come un desiderio estinto.

Sui fondali del mare passeggia il passato come un fantasma senz’occhi, come un grido che non si sente e che vorrebbe invece avvertire, mettere in guardia, dire alt, così non va.

Quando la panchina ha toccato il fondo sabbioso del mare, smuovendo solo un po’ la materia pulviscolare di cui sono fatte le profondità, ecco arrivare anche il signor Acciuga.

Il modo in cui Acciuga raggiunge i suoi luoghi d’osservazione è sempre non solo misterioso, ma da lasciare fuori dalle ipotesi della ragione; perché il signor Acciuga è un essere nel cui corpo l’acqua si accumula e si perde come un fenomeno simile alle maree.

Sta di fatto che adesso è seduto sulla sua panchina, che è appena giunta nel reame del buio pesto e del silenzio assoluto.

Dire che sia seduto è un eufemismo, perché la posizione del suo stare è invisibile e nello scendere anche il corpo del signor Acciuga si è essenzializzato, scavando vuoto nella sua magrezza, succhiando dentro mani e piedi e pinne e occhi.

Vagli a fare capire che così rischia l’inesistenza; non c’è niente da fare davanti al suo desiderio di mescolarsi al passato più arduo e indicibile, di far dialogo muto con le creature sopravvissute ai disastri della superficie.

L’incontro è con una creatura di cui si è perso il nome e che laggiù vive facendo del tempo un compagno di avventure.

Acciuga lo sente arrivare e capisce che gli si sta avvicinando un Giona millenario che una volta sputato fuori dalla prigione viscerale nella quale era stato rinchiuso ha deciso di adagiarsi sul fondo del mare scegliendolo come suo regno inenarrabile.

Sono le molecole d’acqua che trasmettono ad Acciuga la forma di questa creatura, una forma fatta di forme, intricata, stratificata, un intrico di curve di muscoli tesi di braccia avvolte in se stesse.

Giona non si siede sulla panchina perché non potrebbe, piuttosto volteggia nel suo biancore marmoreo contro la massa compatta del buio; ed è come se lo lavorasse, come se stesse cercando un corridoio improvviso nel quale dare un cenno visivo ad Acciuga.

Giona non ha gli occhi sul viso perché un viso non ce l’ha; nelle circonvoluzioni del suo corpo la possibilità della vista è dispersa; è un po’ ovunque e da nessuna parte.

Però, sapendo dell’arrivo di Acciuga, Giona ha raccolto in un sacchettino una decina d’occhi per farne uso in caso di necessità; è un’occasione anche per lui quella d’incontrare una creatura che, sia pure anfibia e piuttosto originale, potrebbe dirgli qualcosa su quel mondo che lui non si è più sentito di frequentare non solo per disgusto ma anche per un patto con un tempo fuori dal tempo.

Acciuga si chiede se esiste davvero un tempo fuori dal tempo, ma chiederselo è solo un residuo del suo venire da lassù, dal reame delle superficie, dal vento e dalle metamorfosi; quaggiù invece, più che farsi domande, sente di doversi abbandonare a cogitazioni inespresse, a pensieri che sono stati pensati senza mai essere giunti nelle pagine dei libri.

Giona apre il suo sacchettino; due degli occhi s’infilano lesti nelle orbite vuote di Acciuga, girano come pianeti, si aprono.

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Silvio Perrella

La Panchina

Biografia:

La meridiana, detta anche, impropriamente, orologio solare o quadrante solare, è uno strumento di misurazione del tempo basato sul rilevamento della posizione del Sole. Attraverso le parole di Silvio Perrella facciamo un viaggio nel tempo nei luoghi del cuore che profumano di Meridione e Sud.

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