Per Prospero le magie sono malinconie necessarie; Ariel e Calibano escono dal suo scettro tenuto con dita riluttanti; lui vorrebbe solo dar pace alla sua Miranda, sottosopra dopo il naufragio.
Il mare non sta mai fermo di suo; figurarsi se c’è qualcuno che lo spinge verso il cielo e lo precipita nelle profondità più fonde e fosche. Onde anneganti, onde fatte di tessuti chiari movimentate da giovani attori tra palco e platea.
Gli anni Settanta sfioriscono nella violenza; Aldo Moro prigioniero per quasi due mesi in una prigione a un passo da tutti ma invisibile; Giorgio Strehler mette di nuovo in scena La Tempesta.
Il teatro Lirico apre le sue porte in via Larga, in una Milano attonita; dentro i velluti rossi delle poltrone e del sipario attendono i gesti del regista.
Tino Carrano è bianco nel bianco accecante della scenografia. Giulia Lazzarini è Ariel appesa a un cavo d’acciaio e svolazza nell’aria teatrale, mai ferma, sempre pronta ad assecondare il suo padrone. Massimo Foschi è Calibano, corpo bianco dipinto di un nero fosco e terroso.
In platea un ragazzo inesperto di teatro, occhi attenti memoria in agguato per dar fonte al suo futuro di uomo a danza di pensieri.
Le onde si placano, l’isola compare, Prospero cerca di rincuorare la figlia Miranda.
Ha lo scettro nascosto sotto il gran vestito, largo di risentimenti.
La scena è vastità di vuoto. I piedi sotto le poltrone non sono più aggrappati all’impiantito; si riposano per attimi lunghi. Prospero medita vendette.
È come se avesse il mare nelle tasche, pruriginoso di una nuova tempesta. Che accada quel che è necessario. Che i nemici siano vittime di un naufragio ipnotico.
Che nelle menti s’introduca la nebbia del disagio e del disorientamento.
Ariel va su e giù; prende e porta messaggi.
Calibano è pronto a ogni misfatto.
Il ragazzo sgrana gli occhi; il teatro gli è davanti ma anche dietro; è la rappresentazione e insieme il pubblico di cui fa parte che aspetta, riaggancia di nuovo i piedi all’impiantito, teme di volare con gli attori, d’inzaccherarsi le giubbe i cappotti gli impermiabili.
Prospero dà vita alle sue magie malinconiche; sarebbe duca di Milano, forse andrà a Napoli; adesso è ancora sperduto ncopp’a st’isola sulagna.
Il ragazzo viene da Napoli e adesso è a Milano e cerca il mare ad ogni angolo; ha la gola asciutta mentre Prospero sta meditando il suo commiato.
Il palco non basta più all’attore; il regista lo spinge verso di noi tra i velluti rossi della platea.
È imponente nel suo apparire; ha lo scettro in mano; parla.
Dice che lui dei suoi poteri magici vuol disfarsi.
D’altronde lo spettacolo si è svolto, è accaduto, si è srotolato come le onde di stoffa con dentro i giovani attori a mettere fiato sotterraneo in comune.
Dice Prospero di essere stanco e che forse andrà a Napoli, dove chissà potrebbe incontrare quell’Eduardo che pochi anni dopo, già quasi cieco, volterà in napoletano antico l’inglese altrettanto antico di Shakespeare; quell’Eduardo che di isole sulagne se ne intendeva, abitandone a tratti una remigante tra Punta della Campanella e Capri.
Prospero, vicinissimo nella luce, dice che il tempo delle magie è per lui finito; spezza lo scettro e l’intero teatro si frantuma in un fragore devastante di legni e di accaiai.
Al ragazzo batte il cuore; non sa cosa pensare; capisce che in quel gesto si annida un’interpretazione; un pensiero critico reso trasparente nell’aria teatrale e conseguente alle parole dette; un tutt’uno a stringere la polifonia dell’impossibile.
Prospero gli sta dicendo che è finita un’epoca e insieme è finito lo spettacolo; che lui dismettendo i poteri regali sta anche abbandonando i poteri ammaliatori del racconto, la scia misterica del dar vita all’affabulazione in pubblico davanti a occhi balbettanti nel buio di una sala purpurea.
«Dateme la libertà da li legame mieje cu lu signale de li battimane»: Prospero chiede di essere giudicato e liberato con un applauso.
E dopo il suo gesto dal silenzio contemplativo sale, sì, l’applauso; il pubblico si alza, il ragazzo varca la soglia tra il dentro e il fuori.
A via Larga un vento gelido gli fa alzare il bavero.

Al Teatro Lirico di Via Larga le emozioni e la polifonia dell'impossibile: quando il palco non basta più all'attore
Giovedì 05 Gennaio 2023, 10:30
Biografia:
La meridiana, detta anche, impropriamente, orologio solare o quadrante solare, è uno strumento di misurazione del tempo basato sul rilevamento della posizione del Sole. Attraverso le parole di Silvio Perrella facciamo un viaggio nel tempo nei luoghi del cuore che profumano di Meridione e Sud.
Silvio Perrella
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