Caro Paolo, quante pagine scritte in questi giorni solo per te. Quante parole vuote e vane, oggi, quanti inutili discorsi e quante soluzioni facili avremmo trovato adesso, mentre fingiamo di essere tutti esperti e tutti capaci di comprendere.
Nessuno di noi potrà riavvolgere il nastro.
Paolo è morto suicida vittima di bullismo a soli 14 anni.
Allora quelle stesse parole meglio utilizzarle per lenire i nostri rimorsi, i nostri sensi di colpa, la nostra incapacità, divenuta quasi fisiologica, di esserci e di guardare oltre l’apparenza, oltre i sorrisi rassicuranti di cui sanno armarsi gli adolescenti.
Però, però…c’è un però per ogni nostra mancanza, per la nostra distrazione di docenti, per giustificare il nostro fallimento come adulti, ognuno di noi preso dalle proprie vite complicate, dalle nostre personali battaglie, dalle frustrazioni mai risolte, dai piccoli e grandi problemi quotidiani, dalla corsa forsennata, come adulti, nell’intento di essere tutto e con il rischio evidente di non essere mai abbastanza per nessuno.
Sfiniti da mille ruoli e da mille incombenze, quest’anno anche dalla sorveglianza degli smartphone, degli smartwatch, che dovrebbero scomparire - come per incanto - dietro minaccia o sanzione, continuando a fingere che questo sia il problema.
Ma il problema siamo noi. Quanto siamo in grado ancora di interessare, di interagire con loro, di divenire esempio? Quanto siamo in grado di entusiasmare, di non assopire durante le lezioni? Quanto di ridestare gli animi, di far germogliare nuovi interessi, di accrescere i talenti, di invogliare alla scoperta?
Spesso la scuola appare soporifera, anacronistica, imbrigliata in regole da caserme militari che non sanno condurci se non a questo.
Il rischio è diventare meri burocrati o sorveglianti.
Non è questo il mio mestiere.
È stato un inizio un po’ malinconico, lo ammetto.
Avevo già immaginato di parlarvi delle facce emozionate e degli sguardi tremanti dei giovani studenti del primo anno, della tenerezza nell’aver ritrovato tutti gli altri, cambiati, cresciuti, a volte persino trasformati, di raccontare il rientro a scuola con il suo rassicurante brusio, con il vociare festoso nei corridoi e nelle aule, di ironizzare sulle facce dei miei colleghi finalmente rilassate e abbronzatissime, di raccontare i nuovi inizi e i nuovi arrivi.
Ma risulta difficile divagare, mentre un ragazzino di 14 anni si arreso e mentre l’umanità tutta resta a guardare alla finestra come fosse anestetizzata.
Attorno noi vento di tempesta e quel cielo plumbeo che speravamo potesse dissolversi piano piano, ancora di più si addensa.
Oggi prima lezione nella mia classe quinta e come sempre dopo i saluti, i racconti della nostra estate, dei nuovi luoghi scoperti e dei musei visitati, avrei iniziato, in un tempo altro, ad illustrare il programma, ma oggi non potevo che iniziare parlando della «lista nera» stilata dal presidente Donald Trump, in cui trovano posto le opere e gli artisti che violano l’ortodossia del presidente in materia di sessualità , di razza e di immigrazione.
Come «Fuga in Egitto» di Rigoberto Gonzalez, in cui è ritratta una famiglia di migranti mentre tenta di oltrepassare il confine, assimilandola alla Sacra Famiglia del Vangelo, con la sfrontatezza di cui l’arte è capace da sempre. Un’opera blasfema.
Quasi senza accorgercene, ritorna l’Arte Degenerata per volontà di un presidente oggi, del führer prima.
Senza accorgercene siamo qui a dosare le parole, a scegliere le più giuste, a fingere ancora una volta che siano le parole il problema. Mentre Gaza brucia ancora.
Senza accorgercene continuiamo a voltarci dall’altra parte.
Divenuti tutti protagonisti del film. «La zona di interesse».
Per questo fatico a trovare un modo per iniziare, se non quello di rimboccarmi le maniche e di partire, con le dita incrociate e il cuore aperto sperando di schivare i colpi, di sopravvivere alle tempeste e di portare riparo, di tanto in tanto, in questo folle tempo.
Buon anno.