Metti che a scuola si decida di organizzare un evento istituzionale, uno di quelli che danno prestigio e che fanno bene alla scuola. Perfetto per riflettere su ciò che spesso resta ancora astratto nell’insegnamento dell’Educazione Civica.
Metti che si chieda agli studenti di preparare le domande con attenzione: «Mi raccomando, domande intelligenti!» e le domande arrivano. Arrivano al vaglio dei docenti organizzatori non solo per controllare la sintassi ma, all’occorrenza, per entrare nel merito dei contenuti. Le domande non devono essere irriverenti - certo - e neanche polemiche. Se poi si riesce ad escludere qualsivoglia riflessione sul tempo che viviamo, meglio.
«Ah, dimenticavo!... che non siano politiche, che qui a scuola non si fa politica!».
E allora meglio edulcorare, per oggi basterà un cucchiaino di zucchero. Per oggi.
Del resto i ragazzi dovrebbero sapere come fare. Di esempi ce ne sono tanti, serve una domanda diretta come quelle che sanno fare in televisione: «Ci racconti i pranzi domenicali?» Risposta : «Che ricordi, il pranzo della domenica con i nonni, le pastarelle!».
Ed è subito fragoroso applauso e occhi lucidi di commozione. Perfetta! Era proprio quello che serviva. Finalmente una domanda intelligente!
Ma non eravamo noi, noi insegnanti, noi educatori, ad aver sbandierato l’intento di aiutare i nostri studenti ad un pensiero critico? Ad un pensiero scomodo?
Come dovrebbe essere il pensiero di un ragazzo di diciassette/diciotto anni se non irriverente e polemico? Non eravamo stati noi a mettere per iscritto tra gli obiettivi da conseguire al termine del percorso scolastico, la capacità di osservare il mondo con sguardo acuto, con sguardo critico? Cosa è accaduto nel frattempo? Cosa ha iniziato ad intimorirci?
Le domande comode lasciamole a chi ha smesso di credere che, anche con la parola, si possa fare la differenza, cambiare questo tempo o almeno provarci, provocare indignazione, che è già un risultato ragguardevole, che noi adulti abbiamo smesso.
Metti che si torni a quel tempo in cui i ragazzi potevano fare i ragazzi con le loro parole irriverenti e con le loro proposte scomode. Metti che si lasci loro lo spazio e il tempo per mettere noi adulti in difficoltà, per accusarci delle nostre mancanze, delle promesse non mantenute, della nostra cronica inadempienza.
E invece, pare che si sia scelta un’altra strada, quella di trasformare questa generazione in giovani imbrigliati, addomesticati come noi.
Che restino a scuola seduti e fermi nei loro banchi.
Imbavagliati e silenti a causa della nostra incapacità adulta di trovare le parole per rispondere alle domande faticose, a quelle imbarazzanti, che così il lavoro si fa più semplice.
Noi abbiamo rimosso quel tempo giovane in cui pensavamo di poter cambiare tutto con il pensiero e con la partecipazione civile.
Che quella scuola non è più modello per questo tempo.
Dimenticando che la speranza, almeno quella, andrebbe preservata persino in questi giorni, persino per loro!
Ma non eravamo noi insegnanti ad aver sbandierato l’intento di aiutare i nostri studenti ad un pensiero critico?
Giovedì 13 Novembre 2025, 11:14
Biografia:
Nasce la collaborazione con la «Gazzetta» di Mirella Carella, che curerà la rubrica «Diario di classe», piccole e grandi storie quotidiane che nascono tra i banchi e nei cuori dei giovani. Mirella Carella, barese, ha lavorato nel mondo dell’arte partecipando a mostre in Italia e all’estero, alcune sue opere fanno parte di collezioni pubbliche e private. Dal 2015 è docente di ruolo in Disegno e Storia dell’Arte.
Mirella Carella
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