Dopo 31 anni di servizio in Polizia, un assistente capo è stato destituito qualche mese fa per assenteismo. I giudici del Tar, ai quali il poliziotto si è rivolto ritenendo il licenziamento illegittimo, hanno respinto il suo ricorso, confermando così l’esito del procedimento disciplinare, cioè la destituzione.
L’uomo, assunto nel 1994, a dicembre 2024 è stato deferito innanzi al Consiglio provinciale di disciplina perché, a seguito di un procedimento penale conclusosi con la prescrizione, la sua condotta è stata ritenuta «censurabile sul piano deontologico e professionale», in quanto «apponeva la propria firma sui fogli di presenza presso la sede di servizio attestandone l’effettività in relazione all’intera durata del turno, mentre invece si tratteneva per un tempo considerevolmente inferiore, arrivando in ufficio dopo alcune ore rispetto all’orario previsto, ovvero si allontanava ore prima della cessazione del turno, o intervallava la presenza in ufficio con ore di assenza durante le quali consumava rapporti sessuali con una prostituta».
In questo modo, stando alla contestazione, il poliziotto si sarebbe procurato «un ingiusto profitto corrispondente alle retribuzioni erogate in suo favore a fronte di un servizio effettivamente non prestato». Il procedimento disciplinare è durato poco più di un mese e si è concluso a fine gennaio 2025 con la sanzione disciplinare della destituzione.
Nel ricorso, il poliziotto «sosteneva che, in conseguenza della mancata pronuncia di una sentenza di condanna in sede penale, - si legge nel provvedimento del Tar - non si sarebbe realizzato alcun accertamento di responsabilità a suo carico». Si è, inoltre, difeso spiegando che «le sue mansioni includevano l’allontanamento dall’ufficio per esigenze di servizio» e che «gli spostamenti compiuti per incontrare» la donna con la quale, secondo l’impianto accusatorio, avrebbe intrattenuto rapporti sessuali durante l’orario di servizio, «sarebbero avvenuti per ragioni di servizio nell’ambito di attività investigative».
Secondo i giudici il ricorso è infondato, evidenziando che «l’intervenuta prescrizione in sede penale, se è idonea di per sé ad estinguere il reato, non incide minimamente sul dato fattuale oggettivo, sul suo disvalore e sulla sua rilevanza per altre esigenze istituzionali». Ne consegue, dice il Tar, «che la sentenza che ha dichiarato improcedibile l’azione penale per prescrizione dei reati non esclude, ma anzi, nel caso di un pubblico dipendente, postula che le condotte oggetto di imputazione debbano essere valutate discrezionalmente a fini disciplinari». Dagli atti emerge che, nel corso della sua carriera, il poliziotto «risultava aver ricevuto numerosi encomi, ma anche di essersi macchiato di plurimi precedenti disciplinari», che avrebbero «arrecato grave e al prestigio dell’amministrazione della pubblica sicurezza, onde certamente risulta proporzionata e congrua la sanzione della destituzione».
















