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«Amianto nell’ex Ansaldo
Inquinamento ambientale»

«Amianto nell’ex Ansaldo
Inquinamento ambientale»

 
 «Amianto nell’ex Ansaldo Inquinamento ambientale»

Ecco la nuova ipotesi di reato del fascicolo bis sullo stabilimento di Gioia

Lunedì 06 Agosto 2018, 10:11

di Giovanni Longo

L’inchiesta bis sull’amianto nell’ex stabilimento Ansaldo di Gioia del Colle prende quota. Adesso la Procura di Bari indaga per inquinamento ambientale. Perché il sospetto è che ancora oggi, nello stabilimento in cui si producevano caldaie, siano ancora nascoste lastre di amianto, sotterrate da chissà quanto e che, se sbriciolate, rappresenterebbero un grave pericolo per la salute dei lavoratori. Nel fascicolo aperto dal procuratore aggiunto Roberto Rossi non ci sono ancora iscrizioni nel registro degli indagati. Il magistrato inquirente, che coordina le indagini della sezione di polizia giudiziaria dei Carabinieri, ha disposto l’inibizione di un’area ben delimitata. Affidate anche due consulenze tecniche a due esperti che, stando ad alcune indiscrezioni, sembrerebbero confermare il sospetto.

Mentre è in corso il dibattimento su una decina di morti sospette, ex operai dello stabilimento (complice il caos giustizia a Bari per via del nervo scoperto chiamato edilizia giudiziaria, anche questo processo ha subito uno stop), la Procura raddoppia accendo un nuovo faro sullo stabilimento di Gioia. Il nuovo fascicolo è stato avviato a seguito delle dichiarazioni di un ex operaio sentito come testimone nel procedimento principale. In aula, infatti, l’uomo, persona offesa nel nuovo procedimento, assistito dagli avvocati Emanuela Sborgia e Giacomo Barbara, ha descritto il luogo in cui nel 2013, cioè dopo che erano state effettuate bonifiche parziali sui forni, dice di avere visto con i suoi occhi una lastra di amianto. Rispondendo alle domande dei giudici aveva descritto le dimensioni («era di sei metri lunga per circa 300-400 millimetri di larghezza»). E quando gli hanno chiesto dove fosse posizionata con esattezza, prima ha tentennato, temendo che qualcuno potesse alterare lo stato dei luoghi. Poi, quando il giudice gli ha ricordato che era suo dovere rispondere e dire la verità, l’ex operaio della Termo Sud poi Ansaldo Caldaie che ha contratto una malattia professionale, parte civile e teste chiave, si è attenuto all’indicazione.

L’udienza ha offerto lo spunto investigativo che ha portato la Procura a disporre nuovi accertamenti. Al punto che adesso, s’indaga per inquinamento ambientale, norma disciplinata dall’articolo 452 bis del codice penale che punisce con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 10.000 a euro 100.000 «chiunque cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo».

Insomma, Ansaldo, inchiesta bis che si aggiunge al processo in corso su una decina di morti sospette e su tre persone che si sarebbero gravemente ammalate a causa dell’amianto killer nello stabilimento specializzato nella produzione di generatori di vapore e centro di ricerca combustione dove oggi lavorano 300 persone. Sul banco degli imputati ci sono 11 persone accusate di concorso in disastro e omicidio colposo. Si tratta, più nel dettaglio, degli ex legali rappresentanti dell’azienda, di ex responsabili della fabbrica e di ex medici addetti all’azienda. Fibre insidiose potrebbero essersi insinuate nell’organismo degli operai anche molti anni prima della contrazione delle patologie, perché non sarebbero state osservate le prescrizioni, dall’abbigliamento agli impianti, all’areazione, per prevenire le malattie. Per oltre un quarto di secolo, dal 1970 al 1996, un «notevole numero di lavoratori» sarebbe stato esposto in modo «significativo» e «qualificato» a «materiale contenenti amianto sia a fibre di amianto contenute in materiali, dispositivi e strumenti adoperati nelle lavorazioni che si svolgevano nello stabilimento». Queste le accuse nel processo madre.

Mentre è in corso il dibattimento davanti al giudice monocratico del Tribunale di Bari, la Procura accelera su un altro fronte. Il sospetto è che ancora oggi in fabbrica ci sia amianto, nonostante le bonifiche parziali succedute nel tempo. Il super testimone, più nel dettaglio, ha fatto riferimento al materiale sospetto utilizzato come protezione dei forni sui quali lavorava. Non appena avuta conoscenza delle dichiarazioni rese in aula, il procuratore aggiunto Rossi ha avviato i nuovi accertamenti. E adesso l’inchiesta prende corpo con una ipotesi di reato ben definita: inquinamento ambientale.

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