Potenza - Un clan familistico. Violento. Una ingente quantità dei denaro rimediata grazie alla complessa attività illecita, non ultima la gestione del bar all'interno del Palazzo di giustizia del capoluogo lucano. Ecco chi sono i Riviezzi. Un video mostra il quartier generale dell'organizzazione durante l'irruzione delle forze dell'ordine, questa mattina.
Nel linguaggio mafioso, a volte un «segno» vale più di tanti colpi di pistola: infatti, riuscire a gestire - anche se attraverso prestanome - il bar all’interno del palazzo di giustizia di Potenza, è da considerarsi un «segno di audace auto-affermazione in un luogo simbolico». Non basta: si tratta anche di una «eclatante dimostrazione della propria forza verso l’esterno» e della garanzia di avere «un osservatorio privilegiato in un palazzo nevralgico nel sistema di tutela e ripristino della legalità».
L’operazione «Iceberg» di Polizia e Gdf a Pignola (Potenza), su impulso della Direzione distrettuale antimafia del capoluogo lucano - costringe a fare un «salto di qualità» nella considerazione che in Basilicata bisogna avere per il fenomeno mafioso. Del resto, il «forte valore simbolico» che ha la gestione di un bar in un palazzo di giustizia fatta propria da un clan è stato sottolineato davanti ai giornalisti dallo stesso Procuratore distrettuale, Francesco Curcio, che non ha perso l’occasione per aggiungere un’altra riflessione: la criminalità organizzata «opera in modo rilevante e significativo in Basilicata ed anche in provincia di Potenza, nonostante si registri non di rado una sottovalutazione del fenomeno».
Secondo la Procura, infatti, il «clan mafioso dei Riviezzi di Pignola» opera «di fatto su tutta la provincia di Potenza», in collaborazione con almeno un clan melfitano ma anche con gruppi criminali calabresi (grazie a «particolari appoggi e considerazione") e campani, «con proiezioni, nel settore degli stupefacenti, anche all’estero». Due anni di indagini hanno portato alla luce «la sua endemica compenetrazione nel tessuto istituzionale ed imprenditoriale del Potentino». La gestione del bar del palazzo di giustizia di Potenza era - fino al sequestro, disposto dal gip distrettuale contestualmente a undici arresti in carcere (anche per il presunto capoclan, Saverio Riviezzi), tre ai domiciliari e tre obblighi di presentazione alla polizia giudiziaria - una specie di fiori all’occhiello. Gestione non diretta ma attraverso prestanome, che «schermavano «soggetti appartenenti o comunque contigui al sodalizio». Nel 2018, un affiliato era riuscito a «convincere» il rappresentante di una società che voleva gestire il bar a «recedere dal ricorso al Tar» contro l’aggiudicazione.
Quando l’uomo fu arrestato, due mesi dopo - insieme al capoclan e ad altri affiliati - nel bar si verificarono «scene di pianto e commozione», registrate dalle telecamere installate dagli investigatori. Le indagini hanno portato anche a far luce su un particolare del delitto di Giancarlo Tetta, ucciso con otto colpi di pistola nel 2008 (il cadavere fu poi bruciato). Il capoclan e un affiliato fornirono l'auto ai sicari di Tetta: era stata rubata a Potenza il giorno prima dell’omicidio. L’inchiesta ha chiarito anche una tentata rapina e un furto (bottino: 235 mila euro) in due uffici postali di Potenza, avvenuti nel 2017 e nel 2018, oltre alla "particolare forza intimidatoria che il clan Riviezzi è in grado di esprimere e di cui risulta di essersi avvalso - ha spiegato la Direzione distrettuale antimafia - in occasione di varie condotte estorsive in danno di imprenditori e commercianti, perpetrate dai suoi affiliati in un arco di tempo che va dal 2013 in poi e fino ad epoca recente».