È invecchiata di colpo la serie di Peter Morgan, come il suo cast, interamente rinnovato. La quinta stagione non parla che di questo, di una monarchia in disuso che deve imparare ad adattarsi al mondo che cambia (la caduta del Muro e la dissoluzione dell’URSS), agli scacchi dei suoi figli reali e ai tre divorzi che ne derivano. All’altera Claire Foy (stagione 1 e 2) e all’imperiale Olivia Colman (stagione 3 e 4), subentra la regina impassibile di Imelda Staunton, capace di evocare un’emozione e di revocarla un attimo dopo. La sua Elisabetta constata i segni del tempo sulla sua memoria e sulla sua silhouette. Se un controllo medico di routine certifica il «peso» dell’età, The Crown 5 illustra crudelmente il «peso» della corona sul destino dei Windsor. Tutto, persino la televisione, funziona da metafora in questo decennio horribilis in cui il castello di Windsor brucia materializzando la distruzione di un simbolo. È la fine della monarchia? La fine possibile di una vita? Le due cose si coniugano sottilmente, come sempre nelle creazioni di Peter Morgan, ma assumono quest’anno un senso nuovo. Nel mondo reale la regina è morta e un’estetica della sparizione è in atto mentre la serie avanza fedele al racconto biografico di una donna vivente. Elisabetta è l’astro attorno al quale ruota la fiction, un ricettacolo condannato a reagire alle passioni degli altri. Avvicinandosi all’epoca contemporanea, il gioiello di Netflix perde un po’ del suo splendore. La sceneggiatura deve compensare la verità storica con una dose di finzione massiccia rispetto alle altre stagioni. Gioca, glossa, inventa e poi irriga le interpretazioni con qualcosa di secco o meticolosamente mimetico, rafforzando l’impressione imbarazzante di essere semplici voyeur mai soddisfatti delle disgrazie dei Windsor.

Venerdì 18 Novembre 2022, 07:02