Nicola Marangia nella vita è un tecnico elettronico del Ministero della Difesa, nel settore Tlc, da quasi 25 anni. Si definisce un uomo di mare, ma tutto cambia quando nel 2010, con la moglie Annamaria, si trasferisce nella campagna martinese. Toccare con mano i ritmi dell’alternarsi delle stagioni gli permette di avvicinarsi alle tradizioni e pratiche di un tempo, come la produzione per autoconsumo familiare di salumi e non solo. Nel tempo decide di migliorare le sue produzioni casalinghe avvicinandosi al mondo dell’analisi sensoriale attraverso numerosi corsi, diventando così maestro “assaggiatore” Onas. Oggi, nel tempo libero, promuove la cultura del cibo territoriale con passione.
Cosa comporta essere “assaggiatore”, in particolare di salumi?
«È un ruolo affascinante e complicato allo stesso tempo. Necessita di tanto studio perché il mondo dei salumi è complesso e non è semplice restare al passo. Suggerisco sempre di non restare in superficie: i nostri sensi sono uno strumento determinante per la nutrizione se usati nel modo giusto».
Cosa sono stati e soprattutto cosa sono i salumi pugliesi?
«Con la nascita delle masserie, tra il XVI e il XVII secolo, l’allevamento di suini a manto nero era parte integrante della vita quotidiana e molto diffuso soprattutto nelle zone collinari e boschive. La produzione dei salumi era un momento determinante per l’economia agricola, quelli di pregio servivano a fare reddito o diventavano vera e propria merce di scambio. Quelli fatti con i tagli meno nobili, erano fonte di nutrimento e condimento di minestre. Oggi i salumi pugliesi sono un’importante risorsa per il turismo enogastronomico, basti pensare che 11 di essi sono inseriti nell’elenco nazionale dei P.A.T. del M.A.S.A.F.».
Come si comunica un prodotto particolare come un salume?
Innanzitutto bisogna conoscere ciò che si racconta e lo si fa anche attraverso i disciplinari di produzione. In essi è riportato tutto il ciclo produttivo, dall’allevamento al prodotto finito, nel dettaglio. In Italia siamo fortunati perché ben 43 salumi sono tutelati da marchio comunitario Dop e Igp; ciò ci consente di indentificare più facilmente i salumi di qualità. Un ruolo importante ha l’assaggio che ne determina la conoscenza a 360 gradi.
Merita concentrarsi su due salumi importanti dell’arte norcina pugliese: il Capocollo e la Pancetta.
Se in Puglia, e non solo, nomini il Capocollo, il collegamento con Martina Franca è immediato. A caratterizzarlo ci pensano gli ingredienti esclusivamente territoriali, come la marinatura nel Vino Cotto e l’affumicatura con le cortecce di fragno e gusci di mandorla, ma altrettanto importante è la sapiente manodopera che ritroviamo nella legatura a cappio. La sua storia è articolata ma ciò che mi preme dire è che necessita di una ‘tutela’. Lungo tutto il Tacco esistono diverse varianti di Capocollo, come quello al cotto di fichi o affinato nelle vinacce di primitivo di Manduria o Negroamaro Salentino. Anche la pancetta detta ventresca, ha la sua storia. Custodisco il racconto di un vecchio norcino di Martinese che, quando la pancetta era grassa diventava tesa; se invece era magra, dopo la salagione, veniva arrotolata».
Parliamo invece di prosciutto.
«È il salume che identifica l’Italia nel mondo. Anche la Puglia può vantarne uno di ottima qualità: il Prosciutto di Faeto, prodotto a oltre 800 metri sul livello del mare, condizione ideale per la sua realizzazione. In generale, parlando di Prosciutto una pratica comune è l’eliminazione del grasso, che oltre a creare un equilibrio tra dolce e sapido, racconta la vita dell’animale».
Con quale criterio scegliere il buono dal cattivo?
«Sicuramente essere informati ci aiuta a scegliere. Ogni produttore è libero di realizzare i salumi come meglio crede, sta a noi capire se è realizzato secondo la tradizione del territorio nel rispetto di tutte le fasi del ciclo produttivo».