Sono giorni di giubilo nel Pd tarantino e anche da Bari (che ha sempre guardato e trattato Taranto come figlia di serie B) ci informano che la nostra amata città «ha un futuro davanti» grazie a loro e ora possiamo serenamente tirare un sospiro di sollievo, festeggiare la risoluzione dell’annosa querelle ex Ilva, vedere finalmente coniugati salute e lavoro. E come hanno rimosso il ricatto salute-lavoro? Questo si vedrà. Per ora dobbiamo credergli sulla parola. È il solito atto di fede che il Partito democratico chiede ai suoi elettori. E infatti per strada ne ha persi tanti. Ma tanto i sondaggi dicono che alle regionali il Pd stravincerà lo stesso.
Dunque, noi invece proviamo ad andare oltre gli slogan. Analizziamo dati, numeri, stanziamenti. E lasciamo da parte la disputa tra Ilva chiusa e aperta. Non è questo il punto che voglio snocciolare. Sono circa 2.600 i cassintegrati diretti di Acciaierie d’Italia, più i 1500 in amministrazione straordinaria. Totale: più di 4000 famiglie in ginocchio senza lavoro né salute. Poi c’è la catena fragile dell’indotto, per cui anche la cassa integrazione è un miraggio. La Regione Puglia ha approvato lo stanziamento di 20 milioni di euro, un fondo per dare respiro a quelle aziende a cui Acciaierie d’Italia in As deve pagare fatture scadute da anni. Ma all’orizzonte c’è solo fumo nero scuro. E gli impianti? Il Ministro Urso dopo la firma il 12 agosto tra governo ed enti locali ha dichiarato: «La prima fase per la decarbonizzazione di Taranto prevede innanzitutto la riattivazione di tre altiforni».
Vediamo quali. Afo 1, quello sotto sequestro dopo che ha preso fuoco il 7 maggio scorso, sfiorando la tragedia. Afo 2 (per intenderci: quello in cui è morto bruciato vivo l’operaio Alessandro Morricella il 12 giugno 2015) fermo per manutenzione, dopo essere stato abbandonato a sé stesso - a detta dei sindacati che su questo hanno presentato esposti - dalla precedente gestione. Afo4, unico in funzione al momento. Davide Sperti, segretario Uilm Taranto: «Su Afo 2 ci sono attività manutentive ancora da fare. Tutte le operazioni di svuotamento della ghisa del forno hanno generato altre criticità, tant’è che non era più possibile effettuare le attività in sicurezza ma si è reso necessario sostituire il crogiolo, le piastre di raffreddamento, praticamente un rifacimento totale del forno. Si dice che entro fine anno dovrebbero metterlo in marcia, forse entro dicembre. Vedremo». Chiedo: come fa Urso a prevedere il ripristino di Afo 1 su cui pende un sequestro della magistratura? «Può rispondere solo lui. Ma comunque, siccome è stato fermato senza aver effettuato il colaggio dei fusi, non è che se viene dissequestrato, il pomeriggio è in marcia». Per fortuna Afo4 funziona ed è uno dei più nuovi. «È in marcia perché è stata fatta un’attività di manutenzione straordinaria a luglio. Purtroppo, però, da quello che ci hanno detto, vivendo l’impianto, anche quell’attività di rifacimento del 2021 è stata fatta male, quindi questo forno non ha di per sé, chissà quale grado di affidabilità».
Chi ve lo dice? «Chi vive gli impianti, i lavoratori, ma anche le informazioni ricevute durante gli incontri istituzionali». Sperti, andiamo avanti: «Per iniziare i lavori su Afo2 hanno ordinato tutti i materiali di sostituzione, perché va rifatto da capo, mi spiego? Se no non si può rimettere in marcia». Insomma Sperti, siamo messi male. Leggo scetticismo nelle sue parole. «Le dichiarazioni del ministro si scontrano con la realtà, come tutte le esternazioni politiche di queste ore, mesi, anni, hanno una distanza siderale da quello che accade veramente lì dentro». Giudizio finale del sindacato sulla sintonia politica trovata tra governo di destra e Pd? «Il verbale firmato tra loro non definisce nulla: soldi, stanziamenti, tempi, responsabilità e piano industriale per la decarbonizzazione. È solo un rinvio a settembre».
Verdetto di bocciatura non solo per la Uilm. Per la Fiom «è la deflagrazione dello Stato davanti alla situazione di Acciaierie d’Italia». Critica anche la Fim-Cisl. Conclude Sperti: «È un’operazione tutta politica che non ha niente a che fare con la sofferenza della gente e con l’incertezza che c’è. Chi esulta deve spiegare che cosa è cambiato».
Forse questo verbale firmato influirà sui criteri di gara? Costringerà il futuro acquirente a rispettare le dichiarazioni di intenti? «Il nuovo bando è stato aggiornato prima di questa fantomatica firma collettiva, a inizio agosto, sulla base della nuova Autorizzazione Integrata Ambientale rilasciata il 25 luglio scorso, con validità di 12 anni e una capacità produttiva autorizzata fino a 6 milioni di tonnellate annue. Ognuno può dichiarare ciò che vuole, però i fatti sono altri e sono verificabili. Credono forse che un investitore che vuole comprare l’Ilva lo farà in base a questo verbale?». Nei giorni scorsi ai microfoni di Buongiorno Taranto, condotto su radio Cittadella da Francesco Casula, altre voci si sono sollevate contro governo ed enti locali. «Un documento vuoto» l’ha definito Roberto Giua, ex direttore Centro Regionale Aria di Arpa Puglia. «Frutto di pressioni politiche di Pd e Fdl» per Alessandro Marescotti di Peacelink. «Mantenere la produzione con questa Aia a carbone costerà tra i 12 e i 14 miliardi per i prossimi 12 anni, poco più di un miliardo l’anno, considerando salute, clima ed ecosistemi e se includiamo i benefici sociali e occupazionali mancati la cifra sale» è l’analisi strutturata su pilastri scientifici dell’economista ambientale Gladys Spiliopoulus. Ci sono poi le osservazioni puntuali e competenti che da mesi ricercatori specializzati in politiche sanitarie, valutazione di impatto sanitario, efficienza energetica, docenti di diritto costituzionale, giustizia climatica, statisti, epidemiologi, chimici ambientali, ingegneri, pediatri, data analyst, stanno realizzando gratuitamente e mettendo al servizio della cittadinanza attiva. Queste eccellenze locali e nazionali hanno costituito una rete per fornire informazioni dopo l’analisi dei testi (centinaia di pagine tecniche) che altrimenti resterebbero secretate e indecifrabili ai più. Un dato politico positivo però questo verbale congiunto Fdl-Pd l’ha prodotto: è riuscito a mettere d’accordo ambientalisti e sindacati, dal 2012 su posizioni diverse, i primi per la chiusura, gli altri per la decarbonizzazione. Per entrambi l’accordo firmato è fuffa. C’era una sola azione politica concreta che le istituzioni locali e regionali avrebbero dovuto portare avanti con convinzione anche per differenziarsi e smarcarsi dalla linea Urso-Fdi: il ricorso contro l’Aia imposta dal governo Meloni. Comune, Provincia e Regione hanno votato contro questa Autorizzazione Integrata Ambientale (Aia) che consentirà all’ex Ilva una produzione di 6 milioni di tonnellate di acciaio all’anno per 12 anni, con il carbone. Alla faccia della decarbonizzazione, della risoluzione del conflitto salute e lavoro! Il Comune fa sapere che sta valutando se fare o no ricorso, intanto sono state presentate delle prescrizioni sanitarie.
Le associazioni invece dalla prima ora si sono affidate a legali e costituzionalisti e hanno già annunciato che faranno ricorso. Semplici cittadini che stanno raccogliendo i soldi necessari, 10mila euro, autotassandosi. Forse perderanno, forse vinceranno. È questa Aia con le sue 477 prescrizioni - veramente qualcuno crede siano tutte realizzabili in tempi celeri? - a condannare ancora Taranto e i tarantini. È l’Aia voluta da Urso-Meloni che puntella la gara per l’acquisto degli impianti. È l’Aia che serviva ai privati e alle multinazionali che vorranno farsi avanti per comprare l’ex Ilva. Questo principio vale sia per chi vuole l’ex Ilva aperta (con paletti e dismissione dell’area a caldo) sia per chi la vuole aperta e basta pur se inquinante, sia per chi la vuole chiusa.
Concludendo. Taranto avrà un futuro davanti solo se farà affidamento su se stessa, sulle sue abilità, competenze, sulle sue meraviglie, sulle sue grandi potenzialità. Perché è la più bella e vera. Dove esiste ancora una classe sociale popolare, base storica di una sinistra progressista che però la rinnega e non la rappresenta (poi non domandatevi perché gli operai votavano Lega, poi M5S e ora FdI e perché associazioni e attivisti disertano le urne). Non c’è ad oggi nessuna garanzia per Taranto sotto nessun punto di vista, sia ambientale, né tanto meno occupazionale. Non c’è nessuna garanzia economica e industriale nemmeno per l’Italia. Tra l’altro, ripetiamolo tutti insieme: decarbonizzare non equivale ad ambientalizzare. Un appello a Elly Schlein, che nel 2013 diede vita alla campagna di mobilitazione giovanile #OccupyPD e che per questo ha conquistato la fiducia di donne e uomini di sinistra, progressisti, antifascisti, ambientalisti: tolga il dossier ex Ilva agli uomini del suo partito in Puglia e a Taranto. Aiuti il Pd a smarcarsi da FDI e dagli errori fatti in passato su questa materia. È in gioco la giustizia sociale e ambientale, il diritto a non morire di lavoro mai e per nessun interesse nazionale superiore, sono in gioco i diritti dei più poveri che restano sotto ricatto. Se la sinistra non fa pace con il dramma di una città operaia come Taranto come può presentarsi come alternativa alla destra alle prossime politiche?