TARANTO - Sono stati condannati a 9 anni una tarantina di 40 anni e il suo compagno 44enne, accusati di maltrattamenti e violenza sessuale nei confronti della figlia minore della donna. Lo ha deciso tribunale di Taranto che, nella serata di ieri, ha emesso la sentenza: il collegio presieduto dal giudice Loredana Galasso - al latere i giudici Federica Furio e Raffaele Tronci - ha accolto la tesi dell’accusa e oltre alla pena ha stabilito che un separato giudizio civile dovrà quantificare l’ammontare del risarcimento nei confronti delle parti civili rappresentate dall’avvocato Vincenzo Monteforte.
Ieri mattina, è stato il pm Francesca Colaci ad aprire l’udienza: nel corso della sua requisitoria, il magistrato ha chiesto la condanna a 8 anni per entambi e definito «enciclopedica» la memoria dei fatti conservata dalla vittima, all’epoca minorenne. Durante l’incidente probatorio, infatti, nonostante le difficoltà nel parlare dei terribili episodi a cui era stata sottoposta dalla madre e dal compagno di lei, aveva confermato in modo puntuale e coerente quanto riferito durante la fase di indagine.
Diversi gli episodi esposti in aula dal pm: dall’impedirle di andare a scuola o di fare i compiti ed essere successivamente punita per i risultati scolastici, alle punizioni sul cibo per «inculcare l’idea che il padre naturale non pagasse gli alimenti». Ma non solo. I due erano accusati anche di abusi sessuali: atti avvenuti, secondo l’accusa, sotto gli occhi della madre, mai intervenuta in difesa della figlia.
A dare rinforzo alle prove raccolte, per il pubblico ministero, ci sarebbero le varie testimonianze di alcuni familiari, come quella della zia materna della vittima, ma anche le stesse contraddizioni del patrigno tali da «non giustificare o fornire ipotesi alternative», ha riferito il pm Colaci dinanzi al tribunale.
Al termine della requisitoria, ha preso la parola l’avvocato di parte civile, Vincenzo Monteforte, che ha condiviso le conclusione della pubblica accusa e aggiunto ulteriori dettagli sugli esiti degli incontri sostenuti dall’allora minorenne con gli psicologi che avrebbero «confermato i sintomi di un disturbo post traumatico». Il legale della vittima ha inoltre spiegato che gli incontri con gli psicologi (stabiliti dal tribunale dei minori per la forte conflittualità tra i suoi genitori separati) non avevano reso possibile alla minore confidarsi prima, poiché tali colloqui erano avvenuti sotto gli occhi della madre e del compagno, in attesa fuori dalla sala di ascolto.
L’avvocato della difesa Gaetano Cingari, che aveva chiesto per i suoi assistiti l’assoluzione, ha sostenuto invece che le dichiarazioni fornite dalla minorenne durante l’incidente probatorio - i cui racconti, per la difesa, sarebbero stati «filtrati» durante i colloqui con gli psicologi - fossero differenti dal primo resoconto fatto alla psicologa scolastica. Secondo la consulenza della psicologa della difesa, la minorenne avrebbe, infatti, una “personalità altamente condizionabile e suggestionabile”. Per la difesa, infine, le parole della minore non sarebbero confermate da alcun riscontro. Il collegio però ha accolto la tesi dell’accusa, condannando i due imputati a una pena maggiore di quella richiesta dall’accusa.