LATERZA - Commozione, rabbia e silenzio ieri mattina, in Cavallerizza. Il ricordo di Michele Verdi, il 53enne allevatore di Laterza che il 4 gennaio scorso ha deciso di togliersi la vita piuttosto che assistere, inerme, alla svendita all’asta della sua azienda, ha riempito di sentimenti contrastanti la sala del Palazzo marchesale, luogo scelto dal Movimento Legalità Puglia, di cui Verdi faceva parte, per ricostruire, in conferenza stampa, i fili di una storia tanto assurda quanto, purtroppo, a molte altre uguale. «Una tragedia che si poteva evitare» dice alla Gazzetta Paolo Giannico, vice presidente del Movimento e cugino della vittima, a microfoni ancora spenti. «Bisogna agire in tempo, situazioni come questa vanno risolte prima, farlo dopo amplifica il dolore: Michele, adesso, non ce lo dà più nessuno», aggiungerà poi dal tavolo con un filo di voce, chiamando a interagire organizzazioni e istituzioni.
All’incontro, con Giannico c’erano la presidente di Legalità Rachele Ciardo, il segretario del Movimento Giuseppe Lisi, il sindaco di Laterza Franco Frigiola e Antonella Semeraro l’avvocata che fino all’ultimo si è spesa, con tutta l’associazione, per scongiurare l’asta, il precipitare degli eventi, l’irreparabile in agguato. Nessuno però immaginava, nemmeno la moglie Tiziana, nemmeno i figli Arcangelo e Mara (in attesa: si chiamerà Michele), quanto il dramma interiore dell’allevatore laertino avesse già preso il sopravvento sull’uomo padre e marito esemplare. Lavoratore instancabile. «Quando si muore dentro, l’altra morte è nei pressi» dice Giuseppe Lisi esortando tutti a mobilitarsi, a non aver paura né vergogna (invito unanime), a scendere in piazza subito, per due obiettivi: «Blocco dei pagamenti e fondo di garanzia istituito dalla Regione». E Frigiola, portando il cordoglio di tutta Laterza: «Michele Verdi pensava, con dignità, di farcela da solo: non ce l’ha fatta, e su questo le istituzioni sono chiamate a riflettere e a dare risposte».
Così la storia dell’allevatore morto suicida impiccato nel fienile della sua azienda, rimbalzata in questi giorni di pagina in pagina, di notiziario in notiziario, è tornata a sgomitolarsi: la procedura di messa all’asta avviata nel 2013, il mutuo agrario di 60mila euro, i 40 mila da restituire a due società di recupero crediti, il fiato corto, la procedura esecutiva, le vendite a vuoto, l’immobile che di volta in volta perde il 25 per cento del suo valore, fino agli avvilenti 24.777,92 euro finali, a fronte dei 350mila inziali. E adesso? Vendita sospesa dal magistrato il 9 gennaio, informa l’avvocata Semeraro incrociando gli occhi di Arcangelo Verdi, sguardo lontano in prima fila. Un po’ di luce, dopo il tragico epilogo del 4 gennaio, giorno fissato per il sopralluogo in masseria di un potenziale acquirente: colpo al cuore per l’allevatore morto due volte.