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Taranto, crac D'Addario: vacanze e scuole di lusso con i soldi delle aziende

 
Francesco Casula

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Francesco Casula

Taranto, crac D'Addario: vacanze e scuole di lusso con i soldi delle aziende

La perizia: «Denaro sottratto a tasse, banche, fornitori e dipendenti»

Giovedì 12 Ottobre 2023, 10:59

TARANTO - Con le casse della società fallita si pagavano gli studi all’Ecole de Geneve in Svizzera, la casa vacanza di famiglia a Fata Morgana, le spese di conduzione agricola della masseria agricola di famiglia, che nulla avevano a che vedere con lo scopo aziendale.

È quanto scrive nella sua perizia Francesco Antonio Palmisano, commercialista nominato dal giudice Pompeo Carriere come perito nel procedimento contro Enzo D'addario, imprenditore e per un periodo patron del Taranto calcio per il quale il pm Remo Epifani ha chiesto il rinvio a giudizio per bancarotta fraudolenta dopo il crac della società «Automarket srl» - già «D’Addario Auto s.r.l» - che il tribunale ionico aveva dichiarato fallita a ottobre 2014.

Un buco da 27 milioni di euro quello contestato a D’Addario e altre 12 persone: si tratta di familiari di D’Addario e professionisti che tra il 2008 e il 2014 hanno ricoperto ruoli all’interno dell’impresa: amministratori, membri del Cda, componenti del collegio sindacale, revisori dei conti.

Per tutti l’accusa è di aver distratto o occultato attività aziendali in modo da danneggiare i creditori: secondo il pm Epifani, in sostanza, beni mobili, immobili e denaro sarebbero stati trasferiti ad altre società tramite fatture di comode in alcuni casi per operazioni inesistenti per evitare che potessero essere aggrediti dai creditori. Per gli inquirenti, inoltre, la distrazione dei beni messa in atto dai vari amministratori, sarebbe stata portata avanti con il concorso dei componenti del collegio sindacale che «omettevano i dovuti controlli sull’operato degli amministratori, impedendo il tempestivo accertamento dello stato di insolvenza e la dichiarazione di fallimento». Nel corso dell'udienza preliminare il giudice Carriere ha affidato a Palmisano il compito di analizzare bilanci e documenti delle varie aziende che erano riconducibili a D'Addario: la perizia è stata depositata nei giorni scorsi ed è particolarmente dura nei confronti degli imputati. «La famiglia D’Addario – scrive il perito - ha creato e gestito queste società in spregio di ogni regola economica e di ogni norma giuridica. Ciò al fine di arricchirsi in danno di vari soggetti pubblici e privati tra cui l’Erario, le banche, i fornitori, i dipendenti e da ultimo la curatela del fallimento della Automarket s.r.l.. Per raggiungere tale fine delittuoso, la famiglia D’Addario si è servita di diversi suoi membri, di alcuni preposti incaricati come amministratori e di 6 dottori commercialisti coinvolti come sindaci delle varie società di capitali.Gli amministratori – ha aggiunto Palmisano – che si sono succeduti nei 10 anni hanno commesso diversi reati di natura economico-finanziaria e tributaria, con le aggravanti specifiche della ripetitività, della serialità e dei rilevanti importi di esse». In sostanza secondo il perito le società sono state gestite «commettendo falsi in bilancio ed in vari generi di scritture contabili e sociali» e «i revisori legali nulla hanno fatto per impedire la commissione dei reati anzi hanno avallato, con i loro pareri positivi, con le loro relazioni compiacenti e con le loro omissioni di ogni controllo, l’operato degli amministratori della famiglia D’Addario e dei 3 preposti da loro utilizzati come teste di paglia». L'esame della gigantesca mole di documenti ha spinto Palmisano ad affermare nero su bianco che sono state consentite operazioni bancarie «ingiustificate» dai conti correnti della società a favore di D’Addario e dei suoi familiari.

Un sistema che, a danno dei creditori, avrebbe quindi favorito il gioco di scatole cinesi all’interno del quale il tesoro da 27 milioni di euro sarebbe, infine, svanito. Solo a Enzo D’Addario, inoltre, è contestata anche la bancarotta documentale: è accusato di aver distrutto o sottratto i libri e le altre scritture contabili impedendo così la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della società fallita. Ora toccherà al collegio difensivo, composto tra gli altri dagli avvocati Raffaele Errico, Antonio e Carlo Raffo, Giovanni Vinci e Vincenzo Monteforte, provare a smontare le accuse nei confronti degli imputati.

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