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Droga e armi nel cimitero di Sava, l’Antimafia chiede il processo per 22

 
Francesco CAsula

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Francesco CAsula

Droga e armi nel cimitero di Sava, l’Antimafia chiede il processo per 22

Il gruppo di Giuseppe Buccoliero trasportava stupefacenti da Francavilla e aveva la sua base nel camposanto

Giovedì 28 Settembre 2023, 14:20

SAVA - Sono 22 le richieste di rinvio a giudizio presentate dal pubblico ministero Milto De Nozza nei confronti di altrettanti imputati coinvolti nel blitz denominato «Off limits» che portò alla luce l’organizzazione dedita al narcotraffico che aveva nel cimitero di Sava la sua base operativa. Dopo la chiusura delle indagini, condotta dei carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Taranto, il magistrato della Direzione distrettuale antimafia di Lecce ha chiesto il processo per gli imputati residenti tra Sava, Manduria e Francavilla Fontana. «Qua è tutto off limits» dicevano alcuni di loro ignari di essere intercettati riferendosi al cimitero del comune messapico ritenuto un luogo sacr, ma per motivi illeciti. Tra i loculi e le tombe, infatti, il clan guidato da Giuseppe Buccoliero, 54enne conosciuto come «Peppolino Capone» e ritenuto il principale esponente della criminalità savese, nascondeva droga e armi. Dal camposanto insomma venivano gestiti fiumi di droga che da Francavilla arrivavano a Sava e venivano poi smerciate nelle diverse piazze di spaccio. Secondo il pm De Nozza era proprio «Peppolino» a guidare il gruppo e a dettare le regole per lo smercio di droga nel paese.

All’alba del 23 marzo scorso, il gip di Lecce Alessandra Sermarini aveva disposto la detenzione in carcere per lui e per Angelo Bernardi, Cosimo De Santis, Daniele e Massimiliano Leone, Antonella Panariti, Antonio Panariti, Cataldo Panariti, Teresa Panariti, Cosimo e Pasquale Storino. In carcere quel giorno sono finiti anche Carlo e Daniele Di Palmo entrambi di Francavilla e individuati come i fornitori della droga. Ai domiciliari, invece, sono stati costretti Stefano Russo, il tarantino Cristian Urbano, Monica Paderi e Amerigo D’Uggento.

La consorteria criminale savese, secondo quanto emergeva dalle 396 pagine dell’ordinanza, si sviluppa «primariamente» a livello familiare: sono i Panariti a essere impegnati a vario titolo nel traffico di stupefacenti e in particolare Antonio Panariti, considerato il «braccio operativo» del boss Buccoliero nelle fasi di approvvigionamento e distribuzione dello stupefacente. Teresa Panariti e suo marito Cosimo Storino gestivano invece dalla loro abitazione «un fiorente mercato di stupefacenti».

Lo stupefacente, trasportato da Francavilla a Sava da Antonio Panariti e dalla sorella Teresa, veniva poi custodito nelle abitazioni di alcuni familiari: il gruppo poteva inoltre contare su «un nutrito gruppo» di pusher su cui il controllo, per il pm De Nozza, era totale: gli spacciatori erano tenuti a rifornirsi dal clan savese e non altri.

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