TARANTO - In parecchi - 400 - imboccarono la via del certificato medico per prendere due piccioni con una fava (non lavorare dopo l’incidente che aveva trascinato in fondo al mare un proprio collega e non subire danni in busta paga), altri invece hanno monetizzato il loro stakanovismo, incassando l’altro ieri - giorno di pagamento dello stipendio di luglio - una prebenda a mo’ di regalo di Natale trovato sotto l’ombrellone.
Non c’è davvero mai pace nello stabilimento siderurgico di Taranto, gestito dall’1 novembre scorso dalla multinazionale ArcelorMittal. L’ultima denuncia porta la firma dei coordinatori Fim, Fiom e Uilm (Vincenzo La Neve, Francesco Brigati e Gennaro Oliva): «Un premio ad personam è stato stanziato da ArcelorMittal ad alcuni preposti aziendali che, in occasione dello sciopero indetto per la morte di un nostro collega, hanno operato in alcuni reparti del siderurgico per consentire la continuità produttiva».
Il 10 luglio scorso Mimmo Massaro morì precipitando nel porto di Taranto con la gru sulla quale lavorava, spezzata dalla tempesta di quel giorno. Il metodo, scrivono i tre sindacalisti in una nota, «ci ricorda la cattiva gestione dei Riva che utilizzava la propria fascia di controllo per garantire la produzione anche in presenza di gravi carenze impiantistiche». All’ad Matthieu Jehl che qualche giorno fa ha scritto a casa ai dipendenti esortando ad avere fiducia e a lavorare «insieme», i sindacati replicano che quei contenuti «sono stati tempestivamente smentiti, facendoci ritornare ad un passato in cui la produzione ha sempre prevalso, anche di fronte alla perdita di vite umane». In «un’azienda che, da subito, ha mostrato il vero volto della multinazionale. Di fronte ad un evento tragico, quale la morte di un lavoratore, è ingiustificabile quanto avvenuto e, se confermato, il sindacato non può che prenderne le distanze e aumentare la conflittualità con chi non rispetta la vita umana».
Fu proprio la segnalazione fatta allo Spesal da parte dei rappresentanti dei lavoratori a far sospendere le attività nell’acciaieria fatte da personale non idoneamente formato, né tantomeno sottoposto ad adeguata sorveglianza sanitaria.
«Inoltre - concludono i sindacati - il ricorso al Tar, presentato in merito al riesame dell’autorizzazione integrata ambientale, e atteggiamenti di questo tipo non fanno altro che aumentare il divario tra la fabbrica e la città».