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La terra avvelenata in «Semina il vento» del tarantino Caputo

 
Alessandro Salvatore

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Alessandro Salvatore

La terra avvelenata in «Semina il vento» del tarantino Caputo

Lunedì 25 Marzo 2024, 11:27

La giovane Nica lascia gli studi di agronomia e torna al suo paesino in provincia di Taranto per prendersi cura dell’uliveto della nonna. Dopo tre anni di assenza la situazione in famiglia si è deteriorata, il padre ha i debiti e gli ulivi di famiglia sono stati attaccati da un parassita e rischiano la morte. Parla di radici pugliesi il lungometraggio Semina il vento, diretto dal tarantino Danilo Caputo, che stasera viene trasmesso alle 21.15 da Rai 5. Nel cast, a interpretare il ruolo dell’agronoma lottatrice è Yle Yara Vianello, l’attrice cresciuta tra gli Elfi del Brasile, la cui vita cinematografica è un sogno realizzato da Alice Rohrwacher che l’ha scoperta.

«A dieci km da casa c’è il Siderurgico più grande d’Europa, una fabbrica che inquina da sessant’anni e della quale però non riusciamo a fare a meno». Così parlava alla «Gazzetta» Danilo Caputo, nel febbraio del 2020, quando il suo Semina il vento veniva presentato in anteprima nella sezione Panorama del 70° Festival internazionale del cinema di Berlino. E quella terra tarantina avvelenata dai fumi in ossequio alle logiche capitalistiche dell’acciaio, oggi in crisi, ha ispirato l’oggi quarantenne regista e sceneggiatore nella realizzazione del suo secondo cortometraggio, che era stato preceduto dal suo audace racconto sulla fine del mondo La mezza stagione. Sì perché Caputo è un talento del cinema, che traccia con una narrazione realistica contaminata da visioni che inducono a riflettere lo spettatore. In attesa di un suo nuovo lavoro, Rai 5 offre l’occasione di rimettere mano alla sua pagina stravolta dal vento dei parassiti sociali.

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