I moralisti danno voce alle fogne, di cui sono espressione. Questi maestri dell’inutile, in servizio permanente effettivo, specialisti nella distinzione tra bene e male, impegnati con persistenza a indicar direzioni e giammai a diventar esempio, sembra proprio trovino habitat confortevole nel nostro territorio. Ogni giorno si trova qualche anima nobilissima, integerrima e titolata intenta a spiegare, a esortare, a consigliare, a indurre, a educare chi è gravato di responsabilità pubbliche a comportamenti migliori di quelli posti in essere fino ad allora.
Ma i moralisti non si prestano a diventar prototipo: al pari di certe comari di paesino, le contromisure si limitano all’invettiva. Ogni ambito, però, è oggetto di indagine: i moralisti tutto sanno e tutto conoscono. Così sindaci, presidenti di società calcistiche, manager di aziende municipalizzate, giudici, banchieri, vescovi, prefetti, industriali, giovani e meno giovani damigelle dispensatrici di emozioni, modaioli figli di madri claudicanti, giornalisti, teatranti … tutti sono osservati al microscopio: nulla deve sfuggire al giudizio.
Eppure la «questione morale», che dagli anni ‘70 in poi viene richiamata con frequenza, manifestava una esigenza importante e diffusa: la necessità di un impegno tenace da parte dei partiti politici e dei loro rappresentanti al rispetto di principi di onestà e correttezza nella gestione del denaro pubblico, e di trasparenza nei rapporti con le aziende private e con i cittadini. Certo che gli uomini e le donne di Taranto e provincia che hanno per destino quello di svolgere compiti apicali, non fanno nulla per attenuare il clamore mediatico che i moralisti manipolano per colpirli. L’esigenza infantile di circondarsi di claque composta da ‘amici del buon tempo’ confonde anche le risorse migliori.
Eppure è da tanto che gli intellettuali di valore mettono in allerta, indicando gli «amici del buon tempo» come elementi perniciosi. Un esempio è riscontrabile in un frammento dei Ricordi di Francesco Guicciardini che, già all’inizio del ‘500, scriveva: «Sotto un tiranno è meglio essere amico insino a uno certo termine che partecipare degli ultimi intrinsechi suoi, perché così, se sei uomo stimato, godi anche tu della sua grandezza e della ruina sua puoi sperare di salvarti». Prescindendo la lingua sgambettante di allora, Guicciardini mostra di conoscere la materia. Dovrebbero riflettere sulle parole del grande scrittore politico del Rinascimento, i rappresentanti più importanti delle nostre città. Perché a perderli non saranno nè le mosche moraliste, né chi li critica in modo costruttivo. La loro ruina è tutta in chi dice di ammirarli, ma è pronto costantemente ad ogni tradimento.