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«Gita» al faro di Punta Palascia, dove l'incanto prende forma e colori

 
Luisa Ruggio

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Luisa Ruggio

«Gita» al faro di Punta Palascia, dove l'incanto prende forma e colori

Domenica 30 Aprile 2023, 14:55

All’altezza della prima curva in discesa, dove il corrimano ligneo sembra servire in caso di eccesso di stupore, inizia un valzer di calabroni felici di piroettare sui fiori che danno un tocco di giallo alla falesia investita dal vento che spettina i capelli dei viaggiatori in visita al Faro di Punta Palascia. In questi giorni di vento forte, infatti, è in questo punto, il più bizantino, che è possibile raccogliere il senso di un paesaggio aspro eppure dolcemente azzurrato dal grado zero del Mediterraneo che gli fa da comun denominatore mentre tutto è un oltre rispetto ad ogni mappa possibile. Il poeta Rilke diceva che la vertigine della vera gioia è più che altro un discendere, non tanto un salire. Ne sanno qualcosa gli innamorati che scendono verso il picco sul quale fu costruito nel 1867 questo faro simbolo della prima alba dell’anno e di ogni giorno in ogni stagione, che da qui s’irradia per raggiungerci. Scendono in questo amore frastagliato dove l’abbraccio di ampie pianure rocciose lascia spazio al lento brucare delle pecore guidate da un pastore che se ne sta lì col suo bastone sotto un cielo che sembra dipinto da Turner o Monet.

Sì, innamorati e visitatori di questa stagione, discendono una serpentina di ciottoli bianchi come quelli di Pollicino e di Hansel e Gretel per ritrovare la strada che conduce al faro abbandonato negli ‘70 e recuperato nel 2008. Giunti laggiù, bisogna salire verso la grande terrazza che fa da grandangolo per la messa a fuoco del cielo e del mare. Ed è qui che le iniziali dei nomi contornati da cuori sempre trafitti da frecce fatali, colpiscono chi defatica al sole dopo conquistato il vento di scogliera davanti alla torretta del faro, dove tutto è rimasto selvatico. Questi 32 metri che costituiscono la torre cilindrica in pietra bianca, questo balcone a lanterna, questa lanterna posizionata a 60 metri sul livello del mare col suo lampo emesso in 5 secondi per essere visibile a 18 miglia nautiche di distanza, non sono più i numeri che esprimono la vita di un guardiano, poiché tutto è automatizzato e gestito dalla Marina Militare. Tuttavia, resta uno dei cinque fari del Mediterraneo protetti dalla Commissione Europea e resta autonomo il segno che gli innamorati passando di qui scelgono di lasciare a testimoniare, un altro codice, un altro sistema per rischiare il buio. Quel segno è un elenco di nomi e soprannomi, date e simboli, tracce fantasma del presente, impronte di un tempo in cui siamo fari che lampeggiano verso l’ignoto che è dentro di noi.

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