Più che un programma televisivo è un rito, più che una gara canora è lo specchio del momento in cui ci troviamo. Sanremo divide sempre ma unisce da sempre. E così oltre le canzoni, gli artisti in gara, gli abiti, i monologhi, i conduttori, quello che si brama per tutta la settimana è una bella polemica che possa consentirci di schieraci l’uno contro l’altro la mattina seguente al bar o istantaneamente commentando sui social.
Scrivo questo articolo quando ancora non so come è andata la finale e chi ha vinto la gara, e ora che lo state leggendo siete senza dubbio voi i più aggiornati sui fatti e sapete in che stanza di albergo il Leone rampante poggiato alla Palma sta dormendo.
In gara ci sono canzoni che mi piacciono, alcune che non capisco, voci stupende e miti della mia infanzia. E, da cantautrice, mi si riempie il cuore a pensare che per una settimana in Italia si parli di canzoni, che le si vivisezioni sui tavoli delle nostre cucine, che si tifi per loro imparandole già a memoria. Ma quest’anno come non mai sento che qualcosa è cambiato, che il mito ha voltato pagina e che ben poco di sacro è rimasto oltre la palpabile emozione degli artisti in gara che comunque hanno, quasi tutti, usato il palco anche per le community del Fantasanremo, come ad esempio con i «cinque» battuti a Morandi, che nella gara parallela portano bonus ai cantanti.
E quanti di noi hanno visto il Festival con il telefono in mano ad aspettare che ogni abito piallettato, ogni espressione, ogni difetto si trasformasse in un meme da ricondividere?
È come se Sanremo avesse paura di essere serio e non credo sia un caso che una delle frasi che abbiamo più ascoltato pronunciata dai cantanti sia stata «mi sono divertito/a», sente il dovere di sdrammatizzare su ogni scala scesa con difficoltà, di «buttarla in caciara» come dicono a Roma, però poi vuole essere serioso nel racconto di sentimenti buoni. La leggerezza e la serietà devono essere per forza dissonanti? Questo, oltre le incursioni pubblicitarie in ogni singolo dettaglio, è ciò che quest’anno mi ha colpito con forza. Perché, come sempre, il Festival parla di noi, è la voce del nostro tempo e, per questo, lo amiamo.