È tempo di neve – o almeno dovrebbe esserlo – e anche su questo il mondo si divide. C’è dunque chi se ne sta dietro la finestra scrutando il cielo ardentemente sperando d’essere presto avvolto da quella sua magica ovattata atmosfera e chi, invece, è spaventato dal freddo, le cadute, l’isolamento e gli immancabili suoi altri disagi. Due fazioni da sempre in attrito qui a Potenza, la città più a nord del sud, dove sembra comunque più forte la nostalgia delle nevicate d’una volta. La volta in cui fummo bambini e poi giovani romantici all’inseguimento della ragazza che ci faceva battere il cuore.
Salivo in via Pretoria, allora, e, trovandomela davanti, non riuscivo a spiccicare una parola… per via del fiatone dopo la lunga interminabile salita che, con la neve, diventava una specie di pista da sci, popolata da ragazzi in spessi maglioni di lana e passamontagna ma con scarpe da città, fradice come brioche inzuppate nel caffellatte, mentre compivano discese ardite a bordo di scatole di cartone, solo i più fortunati essendo muniti di slitte regolamentari; anche se c’era qualcuno che poteva sfoggiare addirittura degli sci. A loro, la grande discesa tra i palazzi non bastava ed era uno spettacolo vederli apparire d’improvviso, completi di pantaloni alla zuava, frusciando nel silenzio delle strade vuote per le grandi nevicate di quegli anni, rotto solo dallo sferragliare delle catene delle poche macchine che riempivano lo spazio ovattato di una strana tintinnante musica, simile a quella dei campanelli della slitta di Babbo Natale. E, più tardi, dopo aver percorso la città sbuffando vapore come locomotive, eccoli sul ponte di Montereale e, finalmente, giù tra le abetaie del parco: in quel punto, l’illusione di trovarci al cospetto di una pista olimpionica era completa; né ci stupivamo poi di vedergli slacciare gli attacchi davanti al liceo dedicato a Quinto Orazio Flacco - il nostro unico scrittore internazionale – e depositarvi noncuranti gli sci come all’ingresso dell’albergo di qualche prestigiosa stazione montana.
E così adesso, ci basta vederla, la neve, mulinare leggera dal cielo ed eccoci di colpo trasportati in quella lontana epoca felice – o che così ora ci appare –, l’epoca di quei magnifici inverni quando per uscire di casa c’era spesso bisogno di scavarsi una trincea attraverso metri di neve candida, dai riflessi di kryptonite, caduta nella notte e la scuola poteva restar chiusa per intere settimane, e siamo contenti. E gli altri, quelli che invece la neve la odiano? Be’, a loro non resta che aspettare arrivi presto la primavera ma ricordando che, come dicevano i nostri nonni, sotto la neve pane!