GIOVANNI RIVELLI
Per il fallimento del progetto «La Felandina» lo Stato avrà indietro i suoi 14 milioni 220mila euro anche se a pagarli non saranno più in 25 ma in 21 tra singoli e aziende, col vincolo solidale, ossia potendo ciascuno essere chiamato a rispondere dell’intera somma. Lo ha stabilito la Prima sezione centrale di Appello della Corte dei Conti pronunciandosi sulla sentenza emessa a fine 2015 dalla Corte territoriale di Potenza e impugnata da sei dei condannati.
Una sentenza che, se a qualcuno fa tirare un sospiro di sollievo, per gli altri finisce col tradursi in un aggravamento del conto. Questo perché i giudici di seconda istanza per un verso hanno dichiarato l’intervenuta prescrizione della contestazione (nei giudizi contabili interviene solo se la contestazione originaria è giunta più di 5 anni dopo il verificarsi dell’evento dannoso) nei confronti di quattro dei condannati in primo grado (e precisamente Mariano Chemello, Maurizio Filippi, Maurizio Zaccaria e Biofiber srl. in fallimento) mentre hanno confermato la condanna per altri due ricorrenti, Giuseppe Annecca (presidente del Consorzio) e Michele De Grazia, non modificando, ovviamente la situazione degli altri 19 condannati che non erano tra i ricorrenti.
Ma c’è di più. Perché i giudici di Appello hanno ribadito con forza, a seguito di apposito motivo di ricorso presentato da uno degli appellanti, la validità del vincolo solidale della condanna. «Con riferimento alla condanna solidale - hanno osservato - essa va, comunque, confermata in questa sede di responsabilità amministrativo-contabile, per via della sussistenza del dolo accertato dei coautori del danno. Saranno gli stessi condebitori in solido a provvedere, eventualmente, ad una regolazione interna dei rapporti fra di loro, in base all’apporto concausale di ciascuno, nella fase di esecuzione della sentenza di condanna. La richiesta, invece, se diretta ad ottenere una responsabilità parziaria anziché solidale, in questa sede, non può essere accolta, attesa la sussistenza dell’elemento psicologico del dolo».
A conti fatti, dunque, se a seguito della condanna di primo grado, a voler dividere in parti uguali il conto, ciascuno dei 25 condannati sarebbe stato chiamato a rifondere al Ministero dello Sviluppo circa 570mila euro, ora che il numero dei condannati si è ridotto, ciascuno potrebbe rispondere di circa 680mila euro, anche se, va detto, i conti potrebbero essere diversi poiché in caso di inadempienza o incapienza di qualcuno il Ministero potrà rivalersi sugli altri. Così resterà il bluff dello sviluppo in Val Basento, ma almeno la spese saranno recuperate.