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Potenza, in via Pretoria niente auto e contatti online: «Qui il lavoro è cambiato»

 
Luigia Ierace

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Luigia Ierace

Potenza, sosta gratis per chi fa shopping in centro

Foto Tony Vece

Il grido d'allarme dei professionisti, dopo il lento abbandono del centro cittadino che ha modificato abitudini sociali ed economia

Giovedì 17 Marzo 2022, 14:16

14:18

POTENZA - Dopo il grido di allarme dei commercianti ora sono i professionisti a dire a gran voce «Riprendiamoci via Pretoria». Assicuratori da quattro generazioni. E da sempre in piazza Mario Pagano, dove hanno vissuto e lavorato. Nel cuore del centro storico che era anche il cuore economico e finanziario del capoluogo. Poi tutto è cambiato, ma Elisabetta La Capra resiste e continua con determinazione a credere in quella piazza, in via Pretoria e in quel palazzo, noto a tutti come il palazzo dell’Ina, dove è, e rimane, forte il legame con le sue origini. «Abito in questa casa, quella del mio bisnonno, di mio nonno e di mio padre e mi auguro di rimanerci finché avrò vita».

Famiglia e lavoro. Per tantissimi anni il nome dei La Capra è stato legato all’Ina.
«Per quattro generazioni siamo stati agenti generale di Ina per Potenza e provincia. Abbiamo resistito anche al terremoto, quando il centro sotto le macerie era presidiato da militari. Lasciammo solo per pochi mesi la nostra casa, ma ogni mattina tornavamo in centro storico per aprire l’Agenzia. Anche se erano rimasti in pochi nel centro storico, l’Agenzia continuava ad essere un presidio importante».

Superati gli anni del sisma?
«È arrivata la ricostruzione e tanti nuovi negozi. Fu la ripresa di tutte le attività. Si parcheggiava in piazza, non c’erano tanti divieti e in centro si arrivava in modo agevole. Poi sono arrivate le restrizioni e la gente ha perso abitudine a frequentare il centro. Prima il lunedì arrivavano dai paesi vicini per le spese e per gli uffici pubblici. Poi la piazza è stata chiusa alle auto, è arrivata la ztl, il problema parcheggi si è accentuato e l’accesso alla città è stato reso sempre più difficile».

Ma lei ha resistito.
«Ho continuato a fare l’assicuratrice non più nei locali del palazzo Ina e con altre assicurazioni. Nel 2005, già cominciava la crisi, ma nei locali di famiglia sopra il Goblin’s. Ci sono rimasta dal 2006 al 2019. Ho dovuto lasciare quella sede perché avevo paura la sera. Purtroppo circolava sempre meno gente. Il bar apriva alle 19. Una sera subii uno scippo proprio in piazza Prefettura. Mi strapparono la borsa, cercai di reagire e caddi. Non circolava nessuno».

Ha mai pensato di lasciare il centro storico?
«Ho sempre continuato ad abitare sopra il Gran Caffè, al centro di Potenza, ma la mia casa dopo che i miei figli si sono trasferiti a a Roma e Milano per università e lavoro si era svuotata. L’appartamento era grande per me. Ho trasferito qui la sede della mia agenzia. Lavoro molto con i residenti al centro, fa comodo avere un ufficio in zona centrale. Poi si lavora tanto on line con clientela di Potenza e fuori provincia. Certo non è un posto facilmente raggiungibile, ma la mail ci aiuta. È cambiato il rapporto con le agenzie non è più diretto come prima».

E da residente come si vive in pieno centro?
«Ho rinunciato alla macchina. Faccio la spesa dai commercianti del centro storico, devono vivere anche loro. Ma se non si corre ai ripari morirà. E non è vero che non ci sono negozi. I migliori sono in centro, in periferia hanno le succursali. La pavimentazione di via Pretoria (le basole si muovono) e della piazza (se piove si scivola) è in degrado. E le scale mobili, anche quando non erano chiuse tante rampe erano bloccate. Insomma per andare in viale Dante meglio ricorrere alle “cento scale” a quel punto».

Come vede la ripresa?
«Come in alcune città spagnole, tra ristoranti e pub. Sono rimasti i residenti e pochi professionisti. Si sono spostati per i problemi di parcheggio. E le loro ragioni non sono tenute in gran conto, a volte sono in antitesi con quelle dei commercianti».

Svegliarsi e guardare il cuore della città. Come è stato vivere sulla piazza?
«In un palazzo storico, realizzato da un famoso architetto ai tempi del fascismo con un un grande androne e i soffitti alti. È stato semplice da ragazza e con i miei figli. Era facile esercitare un controllo, anche solo spiando dai vetri o facendosi una passeggiati. Avevo tutto a portata di mano cinema, negozi, punti di aggregazione. E il Gran caffè era il luogo di incontro nascevano amicizie, ma era luogo di incontro dei politici. Ricordo i primi accorsati comizi di Colombo. Ora c’è tutta una generazione che non c’è più, che va fuori per studiare e non ritorna. E anche le persone anziane che ancora abitano al centro non le vedo da anni. Si è persa l’abitudine dei due passi, quando si usciva per prendere l’aperitivo. Non viene voglia di andare in giro e si avverte di più ora il disagio di venire al centro. Sia come professionista che come abitante. Penso che quando noi anziani professionisti avremo chiuso le nostre attività, sarà il colpo di grazia. A nessuno verrà in mente di aprire qualcosa al centro o di venire ad abitare. Studi storici finiranno come il mio che dopo 4 generazioni si fermerà».

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