Una storia dimenticata di emigrazione, sofferenza e pregiudizi. Una storia che purtroppo si ripete con i migranti di oggi. Dai bastimenti ai barconi. Dal Sud d’Italia ai Sud del mondo. È passato più di un secolo. Era il 2 marzo 1915 e nella lussuosa cattedrale di San Patrizio di New York, sta per consumarsi un attentato contro Rockfeller e altri miliardari americani. Frank Abarno, un 24enne, emigrato da San Fele, Potenza, è arrestato in flagranza, con un salernitano. La stampa si scatena, una ridda di accuse. Ma la vicenda è ben più complessa. Si scoprirà essere un tranello della polizia americana che non ritornerà mai sui suoi passi. «In chiesa c’era così tanta gente che ho avuto paura che qualcuno venisse ucciso», si difenderà Abarno che voleva solo «far capire ai ricchi la condizione dei poveri».
A raccontare questa storia, nell’anniversario, è lo storico Giuseppe Galzerano, da sempre «impegnato a dare voce ai ribelli e ai rivoluzionari, ai vinti e ai sofferenti». «Mi sono imbattuto per caso in questa storia durante le ricerche su Andrea Salsedo, tipografo editore anarchico caduto nel vuoto dal 14esimo piano del palazzo della polizia di New York e trovato sfracellato la mattina del 3 maggio 1920. Era accusato di aver stampato un volantino trovato sul luogo di un attentato alla casa del giudice Nott, lo stesso che aveva condannato Abarno».
E da qui è scattata la curiosità e la voglia di approfondire.
«Il 2 marzo 1915 gli anarchici Francesco Abarno, contadino nato il 6 maggio 1891 a San Fele e morto l’1 maggio 1978 a Trenton (Usa) e Carmine Carbone, calzolaio nato nel 1896 a Olevano sul Tusciano (Salerno), sono arrestati con l’accusa di aver messo una bomba nella cattedrale di New York. Era una trappola della polizia, che aveva infiltrato nel gruppo anarchico “Gaetano Bresci” (l’attentatore di Umberto I) l’agente Amedeo Polignani, con il falso nome di Frank Baldo. In realtà, questi circoli erano luoghi di incontro e discussione, ma anche di svago degli emigrati».
Insomma un vero tranello?
«La polizia non era nuova a queste provocazioni. Tutto era stato preparato, come in una scena cinematografica, per arrestare Abarno. Fuori dalla chiesa il capitano di polizia con cinquanta centimetri di barba finta e parrucca. All’interno un discreto nugolo di poliziotti travestiti nelle fogge più diverse, anche da donne, attendevano il momento giusto».
Tutto troppo plateale per non essere scoperto?
«Una “lurida montatura” scriveranno due giorni dopo l’arresto i giornali, dal “New York Times” a “Brooklyn Daily Eagle”, “The Evening” a “Cronaca Sovversiva”, “The Star Independent”. E sulla prima pagina de “L’Era Nuova” di Paterson, il Comitato di difesa nato per i due giovani anarchici, riporta che durante l’interrogatorio, si scopre che “è un complotto della polizia di New York, la più corrotta del mondo”».
E che la «spia» era un italiano...
«Amedeo Polignani, del Dipartimento di Polizia di New York. Di lui si sa che è nato nel 1882 e morto nel 1932. Sto facendo ricerche per conoscere le sue origini. È lui che paga il fitto del locale dove i due possono agire senza problemi e compra il materiale per confezionare la bomba. Nei rapporti e nelle confidenze di Polignani, il capitano Tunney vista la diffidenza e la scarsa collaborazione dei due anarchici, gli suggerisce di fare in modo che, in caso di fiasco, per provare la loro partecipazione all’attentato, sia trovata in casa di Carbone una copia (regalata dallo stesso Polignani) dell’opuscolo, “La salute è in voi”, vecchio manuale di istruzioni per la preparazione delle bombe».
Tutto studiato nei dettagli?
«Prima di entrare in chiesa, Polignani compra due sigari, uno per sé, l’altro per Abarno, accertandosi che sia acceso. Poi butta il suo per costringerlo ad accendere la miccia, ma Abarno si rifiuta. Carbone non entra proprio in chiesa. Ma gli uomini di Tunney si avventano su Abarno e arrestano Carbone al ritorno dal lavoro. In caserma li torturano perché confessino. Poi informano i giornali che i grandi criminali dell’anarchia sono stati colti in flagrante nel tentativo di far saltare la chiesa della ricca aristocrazia americana, quella dei Rockefeller».
Una vicenda che tiene banco sulle prime pagine dei giornali?
«Al processo il perito svela che la bomba era un innocuo petardo. Tra il pubblico c’è la madre di Abarno, Lucia Giallella, una donna dotata di grande energia, più del marito. Minaccia di scannare e vendicarsi di Polignani. Lo chiama “traditore” ricordando che frequentava la sua casa, li chiamava papà e mamma e portava confetti ai bambini. Testimonia, ma le impediscono di parlare».
Ancor più grave quello che accade a Carbone, di soli 18 anni.
«Racconta come conobbe Polignani e come lo stesso fabbricò le bombe. “La sua difesa è un colpo mortale per la polizia”. I giurati si meravigliano quando riferisce del suo arresto, riempito di pugni sul carro della polizia. In caserma l’interprete non traduce bene le sue parole e Abarno protesta contro lo stenografo che non verbalizza la sua dichiarazione, ma menzogne concordate con il capitano Tunney. Anche il Pm tenta di farlo cadere in contraddizione, ma Abarno depone parlando bene in inglese e conquistando le simpatie del pubblico».
Ma arriva la condanna.
«Il 19 aprile 1915 il giudice Nott, tenuto conto della raccomandazione dei giurati e che gli imputati erano giovani, li condanna ad una pena non inferiore a 6 anni e non superiore a 12, da scontare al carcere di Sing Sing e si scaglia contro le teorie anarchiche dispiaciuto di non poter infliggere il massimo della pena, 25 anni».
E la spia Polignani?
«Definito “bravo”, è assolto».
Abarno e Carbone invece?
«Resteranno negli Stati Uniti, spiati e controllati dal fascismo. Abarno sarà segnalato sempre come anarchico. In Italia, già nel 1916, gli intestano un fascicolo al Casellario Politico Centrale a Roma. Nel 1919 il prefetto di Potenza informa il Ministero dell’Interno che Abarno non è mai tornato in Italia e “non ha avuto mai relazioni con persone sovversive del Circondario di Melfi, da cui dipende il Comune di S. Fele».
Ma continuano i controlli.
«Nel 1925 il console di New York informa che è stato rilasciato dal carcere di Sing Sing. E subito la prefettura potentina informa che non è rimpatriato e da anni non dà notizie. Nel 1930 il prefetto apprende da un confidente che Lucia Giallella l’11 dicembre 1929 ha scritto al fratello Giuseppe, l’unico residente a San Fele. Nel 1937, il prefetto informa che “in S. Fele risiede un di lui cugino, Abarno Michelangelo, fu Giuseppe, al quale da parecchi anni mancano notizie del sovversivo che non mantiene corrispondenza epistolare con alcuno”. Il consolato di New York, dopo varie ricerche riferisce che l’ormai cinquantenne Abarno è stato rintracciato a Trenton (New Jersey) al n.414 di Franklin Street. Professa idee anarchiche ma non le propaganda. L’ultima nota del prefetto nel 1941 conferma che risiede a Trenton e non ha corrispondenza con i parenti lucani».
A San Fele si ricorda il fatto?
«A settembre del 2019 ho chiesto al Comune la conferma della data di nascita: il 17 giugno 1891 da Donatantonio e da Lucia Giallella. Non avevano altre notizie, né conoscevano la terribile vicenda del loro concittadino, vittima di una provocazione poliziesca, che gli costò la galera nel famigerato penitenziario di Sing Sing».
Un nuovo filone di ricerca?
«Continuerò a scavare in questa vicenda torbida ma di grande interesse politico e umano che ricostruisce uno spaccato doloroso della nostra emigrazione».