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Caro maestro Manzi, icona dell’italiano

 
rosario coluccia

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Caro maestro Manzi, icona dell’italiano

foto Ansa

Iniziato il 15 novembre 1960, il suo programma andò in onda in diretta alle 18 di ogni martedì, giovedì e venerdì; terminò nel 1968

Venerdì 15 Novembre 2024, 11:27

11:28

Anniversari. Alle 11 del 3 gennaio del 1954, settant’anni fa, la presentatrice Fulvia Colombo lesse dagli studi Rai di Milano il messaggio di inaugurazione delle trasmissioni televisive del Programma Nazionale, l’attuale Rai 1. Fu il punto di arrivo di un processo di sperimentazione faticoso, cominciato più di vent’anni prima e interrotto dalla seconda guerra mondiale. Nel giorno di esordio i televisori accesi (ovviamente in bianco e nero) furono in tutto ottantamila, e gli abbonati non superarono le ventimila unità, anche a causa degli alti costi del servizio: all’epoca il prezzo medio di un televisore era vicino al costo di un’automobile e sfiorava le dodici mensilità del reddito di un impiegato.

Inizialmente i programmi duravano quasi quattro ore e la pubblicità non esisteva. Le trasmissioni iniziavano alle 17.30 con «La Tv dei ragazzi», centrale era il telegiornale delle 20.45, alle 23 tutto chiudeva.

Cento anni fa, il 3 febbraio 1924, nasceva Alberto Manzi, figura che, grazie alla trasmissione televisiva da lui condotta, si conquistò una straordinaria popolarità negli anni Sessanta del secolo scorso. Quella trasmissione si chiamava Non è mai troppo tardi e si rivolgeva ad adulti analfabeti per insegnare loro a leggere e scrivere: «Corso di istruzione popolare per adulti analfabeti», così recitava la didascalia che accompagnava il titolo. Iniziato il 15 novembre 1960, il programma andò in onda in diretta alle 18 di ogni martedì, giovedì e venerdì; terminò nel 1968. L’Italia del tempo, uscita da poco dalla guerra, era afflitta da percentuali di analfabeti mediamente superiori all’80%. L’inaccettabile analfabetismo comportava condizioni economiche miserrime per popolazioni in larga maggioranza contadine. Pochissimi sapevano parlare e scrivere l’italiano e, in una vita tutta chiusa in ambiti angusti, comunicavano per lo più oralmente e quasi esclusivamente in dialetto, in uno dei tanti dialetti della penisola, dal Piemonte alla Sicilia.

Meritoriamente, la televisione si diede un obiettivo strategico di enorme rilevanza sociale: favorire la crescita del livello culturale del paese con trasmissioni ben organizzate e adeguate alle condizioni culturali della maggioranza. Non volgarità e pettegolezzi (come molta televisione dei nostri giorni), ma anche cultura e informazione seria. Nacque Telescuola, lezioni scolastiche tenute da insegnanti a una classe di studenti ospitata nello studio televisivo; lezioni a volte un po’ noiose e poco efficaci sul piano comunicativo e didattico.

Nell’offerta culturale televisiva si puntò anche all’insegnamento della lingua italiana, strumento formidabile per favorire il progresso sociale delle classi economicamente svantaggiate. Al provino per scegliere un insegnante in grado di rivolgersi a un pubblico di adulti analfabeti si presento Manzi, maestro elementare a Roma. Come lui stesso ebbe a raccontare in seguito, quasi senza averlo previsto, inventò al momento la modalità con la quale impostare la lezione di prova: anziché «recitare» il testo di una lezione che gli avevano assegnato, scelse di fare di testa sua, quella volta e le altre successive. Usava grandi fogli di carta, su cui disegnava e scriveva con un carboncino. A partire dalle figure appena schizzate imbastiva il testo della lezione. I segni tracciati dalla mano «animavano» il contenuto della lezione e si fondevano con la voce pacata e rassicurante. Spiegò dopo: «La televisione è fatta di immagini in movimento per cui, se io sto fermo 20 minuti a parlare, addormento tutti». La soluzione fu il disegno e le piccole scritte di accompagnamento: bastava schizzare qualcosa, chi stava a guardare era incuriosito dal disegno che via via prendeva forma.

Non è dato sapere quanti siano stati effettivamente gli adulti che hanno preso la licenza elementare attraverso i corsi di Non è mai troppo tardi: cifre ragionevoli indicano tra uno e due milioni i nuovi alfabetizzati, contadini e operai rientrati dal lavoro, casalinghe, pensionati che non erano mai andati a scuola; anche molti bambini trovavano suggestive le lezioni di quel maestro. Manzi non era semplicemente un buon insegnante di scuola prestato alla televisione, dimostrava di saper fare televisione con le proprie qualità didattiche e comunicative. Nelle sue lezioni televisive, a seconda dell’argomento trattato, Manzi utilizzava fotografie e filmati, invitava di tanto in tanto un ospite famoso, usava espedienti in grado di animare la didattica, come la lavagna luminosa su cui scrivere e disegnare. A volte studenti molto anziani erano con lui (e venivano trattati con il «lei»), davano prova, concretamente, dei risultati che erano stati capaci di ottenere.

Terminata l’esperienza di Non è mai troppo tardi, durata nove anni, Manzi tornò a fare il maestro elementare presso la scuola «Fratelli Bandiera» di Roma. Senza grandi clamori. Ma la sua immagine rimarrà per sempre legata a quel programma: una sorta di icona consegnata alla storia della nostra tv. Grazie a lui, grazie a tanti maestri e maestre meno famosi, grazie alla scuola pubblica che la politica e le classi dirigenti degli ultimi decenni ignorano o bistrattano, il popolo italiano ha conquistato l’alfabeto e un po’ di istruzione: con il possesso della lingua anche i poveri, non più solo i benestanti e i privilegiati, hanno avuto la possibilità di affrancarsi (a prezzo di sforzi e con fatica) dalle secolari condizioni di ignoranza e di sfruttamento, di non essere più solo servi della gleba.

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