Una tragica pagina di storia racchiusa nel confine orientale d’Italia, nel corso del secondo conflitto mondiale e nel lungo dopoguerra: se ne parla nel volume dello storico Enrico Miletto, Novecento di confine. L’Istria, le foibe, l’esodo (edito da Franco Angeli, pagg. 231, euro 28, 00).
Autore di molti studi sull’ esodo della popolazione italiana dall’Istria, Miletto affronta in una prospettiva europea e di lungo periodo fatti ancora poco noti e spesso deformati da narrazioni decontestualizzate, intrise di luoghi comuni . Nel volume si concentra l’attenzione sulla questione della spirale di violenza e conflittualità esasperata che raggiunse livelli di brutalità ed efferatezza, nelle settimane dopo l’8 settembre 1943. Il crollo delle strutture dello stato ed il vuoto di potere favorì inizialmente le forze partigiane slovene e croate, alimentate dal lungo periodo di clandestinità contro il nazifascismo e sorte in anticipo rispetto a quelle italiane. Motivazioni di carattere politico si saldarono con contrasti e rancori personali dando luogo a reazioni collettive con distruzioni di archivi e catasti comunali . Poco prima dell’arrivo delle truppe tedesche si procedette «a processi sommari e fucilazioni collettive, seguite dall’occultamento dei corpi nelle foibe (che sono le cavità carsiche). Nella prima fase degli «infoibamenti» furono colpite complessivamente tra le 500 e le 700 persone.
Miletto fornisce un quadro d’insieme chiaro e ben documentato e si sofferma sulle cause remote di questi sconvolgimenti, in particolare gli effetti del trattato di Rapallo dopo la Grande Guerra con l’inserimento nel Regno d’Italia di 300 mila sloveni e di 170 mila croati chiamati per la prima volta a far parte di uno stato che si identificava con una sola nazionalità, quella italiana, dominante sulle altre. Con l’avvento del fascismo si negarono diritti e si aprirono ferite inimmaginabili con l’italianizzazione forzata, con la persecuzione di oppositori politici, rappresentanti di religione diversa da quella cattolica e via di seguito. Aspetti repressivi che si accentuarono dopo l’aggressione fascista alla Iugoslavia del 1941 provocando arresti di massa, deportazioni nei campi di concentramento e violenze estreme nei confronti degli iugoslavi, legate all’ inasprimento della guerra in tutta l’area balcanica. La radicalizzazione della violenza si manifestò ulteriormente nell’ottobre 1943 con l’arrivo dei soldati tedeschi e con la costituzione della Zona di Operazioni del Litorale Adriatico. A Trieste si costituì uno speciale apparato di polizia che operò su vasta scala sotto gli ordini un generale delle SS Odilo Lotario Globocnik. Si trasformò un vecchio stabilimento per la pilatura del riso, San Sabba, in un campo di transito destinato alla deportazione nei campi di sterminio di Auschwitz e Ravensbruck di ebrei, oppositori politici antifascisti, civili. Nel marzo del 1944 si costituì un apposito forno e molti degli arrestati furono torturati ed eliminati. Si calcola che nella risiera di San Sabba dalla sua attivazione sino all’aprile del 1945 siano state eliminate tra le 3000 e le 5000 persone.
In questa dimensione estrema di paura e terrore , tra la fine di aprile e il maggio del 1945, l’armata iugoslava avanzò rapidamente, con una vera e propria corsa per l’occupazione Trieste e di tutta l’Istria. Le truppe di Tito , poco prima dell’arrivo degli anglo-americani , iniziarono una vasta azione violentemente repressiva con arresti di massa di elementi collusi con il nazifascismo , squadristi, collaborazionisti, militari repubblichini, esponenti della X Mas, membri della polizia attivi nella repressione antipartigiana, sloveni anticomunisti. Con interrogatori sommari, vennero uccisi e gettati nelle foibe migliaia di italiani. Ad essere arrestati e scomparire furono anche esponenti del Cln contrari all’annessione dell’Istria alla Jugoslavia e diversi appartenenti all’Arma dei Carabinieri e alla Guardia di Finanza, nonostante la loro estraneità all’attività antipartigiana. «Nel 1945 le vittime dell’area triestina e goriziana furono 2.627. Si può stimare in una forbice compresa tra le 3000 e le 4000 persone il numero complessivo delle vittime in questa seconda fase degli «infoibamenti», senza considerare diverse migliaia di deportati nei campi di internamento titini.
Con la presa di possesso rivoluzionaria del territori da parte dei comunisti di Tito, la popolazione italiana fu sottoposta progressivamente ad un processo di esclusione ed indebolimento con requisizioni, confische e con interventi repressivi sul piano economico-sociale, culturale e linguistico (cancellazione del bilinguismo, jugoslavizzazione dei nomi, riduzione delle scuole, snazionalizzazione ). Furono colpiti, in particolar modo insegnanti, sacerdoti, impiegati e funzionari della burocrazia statale. Tutto ciò provocò tra il 1946-47 ed il 1954 diverse ondate di partenze di oltre 300.000 istriani (nucleo principale gli italiani con 252.000 unità, seguiti da 34.000 sloveni , 12.000 croati e 4000 romeni, ungheresi, albanesi).
Una parte di questi esuli approdò in Puglia trovando sistemazione in campi e centri di raccolta, tra cui Bari, Altamura , Brindisi e Taranto, in una situazione di forte precarietà e in ambienti sovraffollati e promiscui.
Ma la perdita della propria terra e della propria condizione fu durissima per gli anziani. «Per i nostri vecchi - scriveva Fulvio Tomizza - fu infatti duro lasciare la terra sulla quale ti sono venuti i capelli bianchi».

Il libro di Enrico Miletto racconta l'odissea delle famiglie e di un popolo
Mercoledì 10 Febbraio 2021, 14:22