La diagnosi è arrivata due anni fa, dopo tre anni di sintomi, ipotesi, visite mediche, speranze e disillusioni. Il marito della signora Anna ha la Sla. Un giudizio senza appello. A 70 anni dopo una vita da imprenditore, da chi si è sempre rimboccato le maniche e lavorato solo, ora si trova confinato in un letto, con un tubo in gola per respirare e un un altro nello stomaco per mangiare. Un calvario doppio, per lui e la moglie che da allora si trova chiusa in casa, sepolta viva al fianco del marito da accudire.
«Il mio essere caregiver mi lega a lui giorno e notte – racconta Anna -. Che sia chiaro, lo faccio perché lo amo, ma ci sono giorni in cui lo sconforto ti assale. Con mio marito abbiamo costruito tante cose insieme, la nostra azienda olearia, condiviso difficoltà e gioie. Sempre insieme. Ora siamo sì insieme, ma perché lui è attaccato ad un ventilatore e dipende completamente da me».
La signora Anna e il marito vivono a Sannicandro, hanno figli che danno una mano, ma la cura di un disabile completamente allettato è difficile e doloroso. «Mio marito fino a qualche settimana fa poteva contare su 28 ore settimanali di Adi, l'assistenza domiciliare. In pratica quattro ore al giorno durante le quali c'era chi veniva per pulirlo, chi per verificare le sue necessità, chi anche solo per stare con lui mentre io potevo dedicarmi alla spesa. Ora da un paio di settimane queste 28 ore sono diventate 7. Problemi burocratici ed amministrativi, mi hanno spiegato, le cooperative che operavano per il Distretto di Grumo appula, dal quale dipende anche Sannicandro, non hanno vinto il nuovo bando e non si sa bene se e quando ci saranno nuovi assistenti».
Ed ecco che un peso già duro emotivamente e fisicamente diventa ancora più gravoso. «Se fossi sola senza figli non riuscirei neanche a lavarlo – spiega la signora -. Avete presente cosa vuol dire tener pulita una persona legata ad un letto? A me non è concesso essere stanca, non posso avere un giorno di pausa. Ho dovuto imparare a broncoaspirare mio marito, perché non ho più un operatore sanitario che lo possa fare e senza questa operazione mio marito rischia di morire soffocato. Io non lascerei mai mio marito, ma non mi sembra giusto che tutto venga scaricato su noi caregiver. Se già con 28 ore di assistenza era una situazione difficile, oggi con un'ora al giorno è impensabile. Ci sentiamo abbandonati».
Anna non si lascia mai andare a parole polemiche, non inveisce contro un sistema che non funziona, non si incatena. Chiede rispetto per lei che accudisce ogni giorno l'uomo della sua vita e per il malato. «La verità è che nessuno tutela né noi, né i disabili – sottolinea la signora -. Tutto quello che è possibile toglierti, il sistema te lo toglie senza pietà, senza appello. Quando la malattia di mio marito è diventata conclamata io non ho più potuto continuare a lavorare. Oggi ho 63 anni e non ho potuto chiudere il mio iter contributivo, questo significa che prima dei 67 anni non avrò una pensione e che sarà minuscola. Perché nessuno pensa che chi assiste in casa un malato grave o un disabile avrebbe diritto ad avere almeno i contributi lavorativi? Che se abbandona il lavoro non è una scelta ma un obbligo? E io ho vissuto una vita piena, ma le mamme e i genitori di piccoli autistici gravi? Ci costringono a seppellirci in casa, diventiamo invisibili, prigionieri tra le mura di casa ben prima del Covid».
E al dolore, alla fatica si aggiunge la burocrazia per ottenere qualsiasi cosa. Procedure, modelli, plichi da allegare, una giungla dove è difficile districarsi. «La mia salvezza sono le associazioni – spiega Anna -. Me la cavo discretamente con la tecnologia, uso le pec, le mail, ma non sempre serve. Faccio un esempio: fino allo scorso anno ricevevo l'assegno di cura, da quest'anno si è trasformato in “cura covid”. Ho dovuto rifare tutta la domanda ma naturalmente non ho ancora ricevuto nulla. Per non parlare di tante altre possibilità per accedere a sostegni. Alcuni sono a tempo, per chi arriva prima. Mi sono dovuta collegare la notte per poter inviare la mia domanda e vederla accolta, già l'indomani mattina la finestra di accesso si era chiusa, i fondi finiti. Ma come si può usare una burocrazia così paralizzante per persone in stato di bisogno? Eppure basterebbe poco. Cercare di alleggerire i pesi che già gravano su noi che assistiamo a tempo pieno, magari incominciando da un tesserino rilasciato dalla Regione per accedere con precedenza in uffici pubblici, ospedali, negozi e pratiche amministrative. Ed è solo un esempio».
E su tutto alla fine il Covid che ha spezzato i legami, isolato anziani e malati. «Nessuno ci può più venire a trovare. I figli si alternano e con tutte le precauzioni del caso. Se succedesse qualcosa a me o mio marito sarebbe una tragedia. Eravamo una famiglia abituata a farcela da soli, oggi siamo costretti a chiedere anche per respirare. Ma la nostra dignità che valore ha?».