Sabato 06 Settembre 2025 | 15:54

Truffe agli anziani, malvagità infinita

 
Michele Mirabella

Michele Mirabella

Bande di delinquenti ignobili, come i truci masnadieri delle nostre rocce si accaniscono contro coloro che sono inermi

Domenica 23 Febbraio 2025, 14:46

La «chianga», in Puglia, è un pietrone di roccia ed è sempre stato protagonista nella nostra architettura e nell’ arredo urbano. In grossi «chiangoni», ha lastricato le nostre strade, imperterrita e durissima: ha sopportato cammini, viaggi, migrazioni, processioni e passeggiate. Sminuzzata, la «chianga» ha partecipato pura, perfetta, orgogliosa della mansione, a centinaia di miglia di muri a secco, quelli che scandivano le nostre campagne con rigore e geometrica pulizia. Nel liguaggio traslato «restare alla chianga» voleva dire non trovare marito e sanciva il destino delle «signorine grandi». Non mi sono mai spiegato la ragione della metafora calcarea. Adesso la «chianga» è ambita, va letteralmente a ruba. Rubare le pietre? Perfino le pietre.

Da questo avanzo di storia dell’odiosa ruberia, si arriva a patire il mistero doloroso delle «chianghe» informatiche, dell’uso criminale della tecnologia moderna da cui non possiamo più prescindere e di cui siamo, a volte, inermi ostaggi. Bande di delinquenti ignobili, come i truci masnadieri delle nostre rocce si accaniscono contro coloro che sono inermi e sprovvisti di capacità tecniche per sceverare il crimine nella melmosa palude dell’eletronica e dell’informatica. La precipitosa avanzata di questa tecnologia precipitata sulle nostre vite condiziona fino all’usura delle volonta individuali, della liberta di scelta ottenebrata dall’iniquo uso criminale della tecnologia informatica e dell’invasivo telefono. Questa avventura tecnologica comprende la tronfia e sbagliata dicitura di «intelligenza artificiale». A proposito, la denominazione fu generata da una formula pubblicitaria per attirare clienti dell’armamentario informatico destinato a furoreggiare nelle caverne elettroniche. Le «chiaghe» della comunicazione.

Ero stato avvertito da un’amica, ma mi era sembrato un allarme amplificato dalla esasperata paura che aleggia sulle nostre teste e tormenta il vivere nostro quotidiano: i ladri scorrazzano nei meandri e nelle piazze elettroniche, nei milioni di vicoli informatici e di povere case. Anzi, la pena di una signora che mi raccontava in lacrime la sua disavventura, irrobustì di due avverbi la desolata delazione. Ella disse che «adesso» i ladri rubano «anche» nelle case della gente povera che conduce una vita di patemi e ansie per i figli e i nipoti. Due avverbi che valgono un saggio di sociologia: quell’«adesso» che racconta la sconsolata constatazione dei tempi feroci in cui tiriamo a campare e quell’«anche» che rileva il limite superato, il limite della tollerabilità, il limite dell’umanità, ancorché della più incanaglita umanità. Le tecniche sono di una spudorata e cinica malvagità: i delinquenti, per delinquere usano il telefono, il vecchio, caro telefono, per terrorizzare la vittima pretendendo denaro per salvare da guai terribili il figlio o la nipote. La spudoratezza orribile di questa cattiveria fa diventare i ladri tradizionali, degli sbrigativi mascalzoni a petto di questi malvagi criminali che violentano la quieta vita dei vecchi e degli indifesi.

Sin dal medioevo, non si annovera una crudeltà così perversa. L’inferno è affollato, è vero, di ladri d’ogni risma e Dante pellegrino ne incontra nell’immondo rettilario di Malebolge, e come! Vanni Fucci bestia sta lì per l’eternità ad insolentire il Padreterno con le sue «fiche» squadrate nella bestemmia perché rubò ferocemente e rubò in chiesa («in giù son messo tanto perch’io fui ladro a la sacrestia d’i belli arredi») e, da allora, è inchiodato nella peggiore tra le pene per i reati di ruberia. La sua viscida comparsa nell’abisso desertico della sua bolgia sanziona la sua pessima vita e, al tempo stesso, sembra alludere ad un’irripetibilità del crimine, eccessivo anche per le cupezze medievali.

Ma La Divina Commedia, certo, non è il libro prescelto per il comodino della malavita la quale non fa più differenza tra automobili di lusso e altari maggiori, tra sportelli bancari e povere case di anziani indifesi: spaventosamente saccheggia, certa della quasi totale impunità, arpionando tutto il vendibile e lo smerciabile ad acquirenti per i quali andrebbe progettata una bolgia a parte.

Questi orribili farabutti si sono diplomati nel teppismo inquieto dei giochi elettronici per adulterare le voci, minacciare con le asperità dei metodi di avvocati improbabili e di marescialli dei Carabinieri inesistenti. La minaccia del carcere per i nipoti autori di infrazioni inventate fa arrendere anche la più prudente delle nonne. Dopo la denuncia accorata della mia amica mi ritrovai a domandarmi quale potesse essere la merce furtiva così appetibile da ingolosire la canaglia a segno che si spinga nel sobrio sacrario della famiglia. La ferocia dei criminali che dalla «Intelligenza artificiale» hanno lucrato solo artificiale malvagità. Li aspetta Vanni Fucci nella valle dei serpenti dell’Inferno.

In attesa di giustizie celesti aspetto, senza troppa fiducia, un cenno da quella degli uomini. Seduto qui, sulla chianga della nostalgia.

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