Il mio amico Luciano De Crescenzo, napoletano verace, intellettuale cordiale e umorista impagabile, mi intratteneva, spesso, con racconti, quadri pittoreschi, memorie di sua madre, donna spiritosa e di sorridente carattere. Luciano ci intratteneva senza imporsi, ma con la sobria e sorridente saggezza riposta nei casi archiviati nella memoria dei quali, soleva aggiustare qualche particolare, una nuance, una pennellata teatrale. Spesso citava battute e riflessioni altrui, ma le sapeva armonizzare nel suo repertorio e non considerava la citazione un plagio e, quando gli si faceva notare che aveva citato un altro buontempone o osservatore acuto o umorista provetto, non si scusava e proponeva: «E tu cita me. Mi fa piacere».
Il caso è pittoresco e tempestivamente narrato, visto il clima di festa e tavolate di amici e parenti. Luciano disse di un tale che aveva inventato un ingegnoso mestiere per tirare a campare. Più che un mestiere, era un artificio astuto per occuparsi lucrosamente. In verità, diventò suo amico a seguito della sua presentazione guarnita di un biglietto da vista su cui figurava in stile arabescato la scritta con il nome e cognome seguito dalla dicitura: «Quattordicesimo». Proprio così: «Gennaro Esposito. Quattordicesimo». Seguiva recapito e numero di telefono. Gli spiegò che la sua mansione consisteva nel rendersi disponibile a qualsiasi ora, infatti figurava sulla carta da vista anche la dicitura «Ventiquattro ore su ventiquattro», per partecipare a pranzi, cene o banchetti minacciati dal fatidico e pericoloso numero tredici dei convitati. Su chiamata scaramantica, arrivava il benefico e provvidenziale Gennaro a fare da quattordicesimo: mangiava, beveva e lucrava il suo salario.
Sull’enciclopedia non figura ancora la parola quattordicesimo, se non come ordinale numerico, mentre il tredicesimo figura anche al femminile nella nozione di gratifica salariale. Dice il lessico: «Retribuzione pari, in genere, allo stipendio di un mese, senza le eventuali indennità accessorie, che viene corrisposta alla fine dell’anno». Puntualmente l’estensore della nota informa che «ha avuto origine dal rapporto di impiego privato, nel quale aveva carattere di gratifica, e si è, poi, trasformata per obbligo di legge o per pattuizioni collettive, in una retribuzione obbligatoria». Eccetera.
Insomma, alla tredicesima siamo abituati, anzi, ci contiamo come su di un sacrosanto diritto. E tutti gli anni ci si fa conto, e come! La retribuzione nacque per consentire di fronteggiare qualche sporadica spesa voluttuaria, qualche piccolo lusso. Il colpo di reni assestato ai consumi dalle spese istigate dalla gratifica era manna per il commercio. Quella tredicesima sudata dai dipendenti si trasformava in tredicesima per i negozianti e i fornitori che, a loro volta, pagavano e pagano il salario straordinario ai dipendenti che tornavano a spendere il denaro in altri negozi e, così via, si innescava un circuito benefico per l’economia. Circuito spicciolo, ma prezioso.
Ma sfido chiunque a negare che la si sia anche usata per sanare deficit lamentosi, robuste esposizioni bancarie, pagare cambiali, tacitare banche postulanti, assecondare investimenti edilizi: prudenti padri di famiglia investivano la mensilità straordinaria, già da mesi prima, in lezioni private, visite specialistiche, otturazioni, cappotti a saldi, particelle di corredi.
Sospetto che, malinconicamente, la tredicesima, 2022, è già stata spesa da marzo scorso e, forse, è già stata spesa quella del 2023 e molto minacciata è anche quella del 2024. Tramonta un punto fermo nell’economia minuscola delle famiglie, pare. E pare anche che il tempo di spesa della gratifica, anche per i più fortunati, sia fulmineo. Il tempo a venire si prospetta corrucciato, i consumi ristagnano e l’economia non «tira». Siamo una società sempre più «patrimonialista»: solo che, mentre una società basata sul reddito è equilibrante, una società basata sul patrimonio è squilibrante. Il che si traduce in un problema sociale. Il punto è che in questa fase l’Italia non va avanti né su stimoli economici né sugli eventi. C’è come un continuo rimosso, un eterno ritorno alla dimensione individuale, soggettiva.
«Non si sogna più. Ce ne stiamo a presidiare un presente indeclinabile se non al singolare. Nessuna memoria del passato. Scarsa l’idea di futuro resa opaca dalle guerre in corso. Il risparmio annaspa nelle incertezze, il mattone torna in auge come trionfatore di una economia di sopravvivenza. Occorre una grande capacità di adattamento e molta saggezza: dunque con pochi sogni. Maturi prepensionati disperano di trovare un nuovo lavoro, nuovo salario e nuove tredicesime in tempo utile. Si devono accontentare degli scheletrici risparmi di una vita e delle tredicesime dei figli, (anzi del figlio). Se il figlio lavora ed è rimasto in Italia. I più qualificati continuano a partire. Ma i figli, spesso, non se ne vogliono andare, anche perché non saprebbero dove. A Natale, un vantaggio c’è: saremo in tanti a tavola. Anche se non saremo tredici, invitiamo lo stesso il «Quattordicesimo». Insieme possiamo farcela.