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L'intervista
Bianca Chiriatti
22 Novembre 2019
Paola Turci, voce inconfondibile e innata eleganza, torna nel Salento per la tappa del suo «Viva da Morire Tour», che prende il nome dall’ultimo album di inediti. Atteso concerto domani alle 21 sul palco del Politeama Greco, Teatro di tradizione di Lecce. La cantautrice romana è certamente una delle artiste più apprezzate del panorama musicale italiano, ma cosa la fa sentire «Viva da morire»? «L’idea di poter fare qualcosa - risponde - di poter suonare, di essere viva. Il fatto di non darlo mai per scontato».
Più di 30 anni di carriera, veterana al Festival di Sanremo: cosa rimane dei primi esordi?
«Ricordi indelebili di una ragazza che ne sapeva poco, ma che si è fatta avvolgere dalla potenza della musica. Una ragazza che ha vissuto un periodo della vita saltellando in mezzo a questioni da affrontare, con la soddisfazione di avere sempre accanto quella musica, come un grande amore. Sono molto felice per questo».
Dopo tanto tempo cosa si prova quando si viaggia per andare a suonare da qualche parte?
«È una sensazione che mi piace sempre da matti. Tornare a casa è bellissimo, ma viaggiare, le fasi di preparazione al concerto, l'incontro con i musicisti e la produzione, è meraviglioso».
Cantante e donna: si è mai sentita «scomoda» in questo ruolo?
«A volte ho provato rabbia, e la provo ancora, per l’ingiustizia che c’è nei confronti delle donne. È una rabbia che viene dall'idea che non è stato fatto ancora abbastanza per rendere l’uomo alleato della donna. Oggi c’è ancora qualcuno che non si rende conto della normalizzazione di questa disuguaglianza, e quando si parla di “femminismo”, il significato viene distorto, percepito come ingombrante. Il femminismo è l'attestazione dell’uguaglianza tra i due sessi, tutto qui».
Tutta questa grinta, che mette nella musica e sul palco, è molto apprezzata dai fan. Che rapporto ha con loro?
«Sicuramente non c’è amicizia, nulla di privato, ma c’è una sensibilità unica, un amore e una presenza concreti. Sapere di voler bene e di essere ricambiati dal pubblico, da persone che non sono fratelli o familiari, ma sono “altro”, è bellissimo, ti senti avvolta da un affetto che io a mia volta restituisco cantando e scrivendo canzoni. Io mi propongo, poi è il pubblico che si avvicina, per un’attrazione psicologica, intellettuale. C’è comunque un contatto, una forma di affetto ineguagliabile».
Si sente arrivata da qualche parte?
«Soltanto alla destinazione del momento, poi si ricomincia sempre. Non voglio sembrare candida o ingenua, a me sorprende ancora quando mi riconoscono per strada, rimango abbastanza colpita. Per il resto ogni cosa che faccio, ogni canzone che scrivo, ogni posto in cui suono, sono tutti capitoli che si aprono e si chiudono, ma non c’è un vero punto d’arrivo. L’unico, vero, è solo la morte».
Dopo il tour, che la terrà impegnata fino a dicembre inoltrato, cosa farà Paola Turci?
«Posso solo immaginarlo, perché non ho progetti precisi. Quello che voglio fare lo costruisco giorno per giorno. Ho intenzione di lavorare a un romanzo, a cui penso quotidianamente, vorrei riprendere in mano il monologo che ho portato per tre sere al Teatro Menotti di Milano. Questi potrebbero essere i progetti imminenti. Per il resto sto scrivendo canzoni, perché so che la musica è e sarà la mia vita, ma è tutto molto tranquillo, ho raggiunto un tale stato di serenità che non ho la smania di fare per forza un altro disco. Sicuramente mi piace l'idea di continuare a suonare in giro, magari con un tour più elettrico, nei club, con atmosfere rock come in passato. Mi piacerebbe spogliare le canzoni e dar loro una nuova veste».
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