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Pinacoteca trafugata, opere da Nardò trasferite a Taranto, è giallo

 
Biagio Valerio

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Biagio Valerio

Pinacoteca trafugata, opere da Nardò trasferite a Taranto, è giallo

Il vescovo si rivolge al Tar: «Ridateci i nostri quadri»

Domenica 30 Settembre 2018, 11:01

Nessuno ha mai saputo dell’esistenza di uno straordinario patrimonio artistico, appartenente alla cattedrale, e che monsignor Giuseppe Ricciardi, vescovo dal 1º giugno 1888 fino al 18 giugno 1908, aveva portato via durante i lunghi lavori di ristrutturazione della basilica.
È un vero “giallo storico” che potrebbe consentire alla città, più di un secolo dopo, di vedersi restituire tele di straordinaria importanza, anche storica e documentaria. A rimettere a posto ogni tessera di questo rompicapo sono tre persone che, insieme con i vescovi che si sono avvicendati alla guida della diocesi di Nardò Gallipoli, hanno riannodato fatti, carteggi e “indizi”: si tratta di Marcello Gaballo, all’epoca dei fatti ispettore onorario per i monumenti del Comune di Nardò, don Santino Bove Balestra e don Giuliano Santantonio. I due ecclesiastici sono stati alla guida (don Giuliano lo è attualmente) dell’ Ufficio dei Beni Culturali della diocesi sotto l’ala del quale sta sorgendo il gioiello rappresentato dal museo diocesano, nell’ex seminario di piazza Pio XI. Gaballo è ricercatore, storico e scrittore.
Tutto ha inizio nel lontano 2004 quando è proprio Gaballo, insieme con Bove Balestra, ad andare a Taranto per visitare una mostra in svolgimento presso il Museo Archeologico Nazionale, dal 16 marzo al 30 maggio di quell’anno. L’esposizione aveva questo nome, “Storia di una collezione. I quadri donati dal vescovo Ricciardi al Museo di Taranto”, e venivano presentate diverse tele, buona parte delle quali del XVIII secolo.
Con questa parole Gaballo rievoca quei momenti: «subito mi accorsi che troppe coincidenze risultavano col patrimonio artistico della nostra Cattedrale e dell’episcopio. Difatti molti autori, cui sono state attribuite le opere esposte a Taranto, risultano tuttora presenti in città con tele di inestimabile valore: Francesco Solimena, Luca Giordano, Paolo De Matteis, Leonardo Antonio Olivieri. Una prima, notevole, coincidenza risultava infatti tra autori: gli stessi che avevano lavorato per la nostra diocesi al tempo del vescovo Antonio Sanfelice e di suo fratello l’architetto Ferdinando».
Lo storico, per altro, era già allora in possesso della copia del testamento del vescovo Ricciardi nel quale era scritto che: «tutti i quadri di qualche merito artistico sia esistenti nel palazzo di Taranto, che all’ episcopio (di Nardò), voglio che siano depositati nel Museo pubblico di Taranto…”.
«Evidentemente – continua Gaballo – Ricciardi si riferiva ad alcuni pezzi che aveva di sua proprietà e certamente non includenti quadri di grande importanza e pregio, come potevano esserlo quelli del Solimena o di Luca Giordano, troppo celebri per essere inclusi tra quelli “di qualche merito artistico”. Il vescovo conosceva bene la loro importanza e li avrebbe classificati con netta distinzione rispetto ad altri, anche coevi».
Che cosa potrebbe essere, dunque, accaduto? La Storia racconta che proprio durante l’episcopato di Ricciardi sia stato effettuato uno dei più radicali restauri della basilica cattedrale che, per le sue cattive condizioni statiche, rischiava di essere persino abbattuta. Il progetto di nuova costruzione, redatto dall’ingegner barone Filippo Bacile, benché approvato anche dagli organi superiori dello Stato non fu eseguito per la strenua opposizione proprio di Ricciardi, il quale tra il 1892 e il 1899 promosse un restauro integrale della cattedrale, liberandola da tutte le superfetazioni e riportandola al suo aspetto medioevale. Il grandissimo pittore Cesare Maccari affrescò l’abside tra il 1896 e il 1899.
È probabile, allora, che proprio durante i lavori di ristrutturazione di coro ed abside, Ricciardi abbia spostato le preziose tele per preservarle, poi conservandole nella sua città d’origine, Taranto.
«A mio parere – conclude lo storico – vennero trasferite a Taranto le tele di esclusiva proprietà del presule e con esse anche alcune altre assai più importanti e di elevato livello artistico conservate nell’episcopio».

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