«Gli italiani con civiltà scelgono se mantenere o abolire il divorzio»: così titola in prima pagina «La Gazzetta del Mezzogiorno». È il 13 maggio 1974 e in Italia si sta svolgendo il referendum sull’abrogazione della legge Fortuna-Baslini. A partire dall’Unità, circa una decina erano stati i tentativi di introdurre nel nostro Paese l’istituto del divorzio, tutti bocciati a causa dell’ingerenza della Chiesa. La proposta di legge firmata dal deputato socialista Loris Fortuna e dal liberale Antonio Baslini era stata ufficialmente presentata nell’aprile 1969 e l’anno seguente, dopo 33 sedute e la prima approvazione alla Camera, era passata in Senato con 319 voti a favore e 286 contrari. Fino ad allora in Italia era stato possibile divorziare esclusivamente attraverso la Sacra Rota. Molto presto si erano mobilitate la Dc e le forze cattoliche per indire un referendum di abrogazione della legge appena approvata, che ha luogo, appunto, domenica 12 e lunedì 13 maggio 1974.
Dopo la prima giornata, dunque, la «Gazzetta» in prima pagina informa sull’afflusso dei votanti: «Le più alte percentuali al nord, le più basse al sud. L’ordine pubblico non ha registrato turbamenti di rilievo». La corrispondente da Roma, Luciana Tedeschi, sottolinea: «La minore affluenza alle urne in rapporto alle elezioni del ‘72 può essere attribuita a due fatti. Il primo è che ormai è provato che per le consultazioni politiche si raggiungano le percentuali più alte di votanti. Il secondo è che il meraviglioso clima primaverile e la possibilità di usare l’auto, dopo le necessarie ma avvilenti domeniche d’austerità, hanno forse indotto i cittadini a rinviare a domani l’adempimento del proprio dovere civico. È quindi presumibile e auspicabile che domani la percentuale dei votanti salirà notevolmente».
È questo il primo referendum abrogativo nella storia della Repubblica, un referendum che impegna le coscienze degli italiani, chiamati a mettere in discussione princìpi legati alla religione e alla tradizione: una scelta che dimostrerà o meno la modernità del Paese, l’apertura alle istanze di una nuova mentalità. L’andamento del voto in Puglia e in Basilicata è, per il momento, deludente.
Il titolo in seconda pagina chiarisce immediatamente la situazione: «In mattinata seggi quasi deserti». Solo Bari si distingue dal resto delle città: «I baresi hanno atteso la sera per andare in massa a votare (con code davanti ai seggi e in qualche caso blocco del traffico). Questa è la prima volta che una legge dello Stato viene decisa direttamente dai cittadini con una consultazione elettorale. E forse mai come ora c’è stata una mobilitazione tanto massiccia. La vigilia del 12 maggio è parsa la vigilia della decisione dei destini del Paese.
L’affluenza alle urne sembra un invito alla calma. Una ulteriore testimonianza di consapevole civiltà». Tra gli altri, nel capoluogo pugliese ha espresso il proprio voto anche Aldo Moro, ministro degli Esteri, invitato quel giorno dal prof. Renato Dell’Andro a visitare l’Istituto di diritto penale dell’Ateneo barese. Il giorno dopo, a caratteri cubitali, la «Gazzetta» riporta il risultato indiscutibile: il 59,3% dei votanti ha scelto di non cancellare il nuovo istituto giuridico e la legge Baslini-Fortuna è confermata.
Il risultato in Puglia e Basilicata, in realtà, è leggermente in controtendenza: il sì all’abrogazione ha raggiunto oltre il 52 percento dei voti. Ad ogni modo, esultano i socialisti nostrani. Per il senatore Formica è stato espresso un voto contrario all’immagine che la Democrazia cristiana ha voluto attribuirsi da qualche anno: «È una punizione all’errore di aver ingaggiato questa battaglia in questo tempo. All’interno della Dc, il dopo referendum sarà molto drammatico, rilanciando le posizioni delle correnti di sinistra».
Per l’onorevole Di Vagno, sottosegretario all’industria, è significativo il voto complessivo nel Mezzogiorno: «Esso dovrebbe liquidare, definitivamente, le illusioni di quanti credono che il Sud possa costituite serbatoio di consensi a disegni antidemocratici e che contrastano con qualsiasi prospettiva di salvaguardia delle libertà individuali e collettive».