In attesa di comprendere, grazie al prezioso e insostituibile lavoro degli inquirenti coordinati dal procuratore Roberto Rossi, responsabili e contesto nel quale è maturata la lite mortale nella discoteca di Molfetta, costata la vita alla 19enne barese Antonella Lopez, ci sono degli atteggiamenti che la società civile – o presunta tale – non può permettersi. Il principale dei quali è la scrollata di spalle, il minimizzare un episodio di gravità inaudita – una ragazza è morta ammazzata a pistolettate dinanzi a centinaia di coetanei, molti dei quali appartenenti alla cosiddetta Bari bene – rubricandolo a fatto isolato, distinto e distante da scene che paiono mutuate dalle fiction – basate peraltro su storie venere - che raccontano le gesta criminali di giovani pronti a tutto, pure a sparare in mezzo ad una affollata pista da ballo.
L’omertà era, e in parte ancora lo è, la consuetudine vigente nella malavita meridionale, detta anche legge del silenzio, per cui si doveva mantenere il silenzio sul nome dell'autore di un delitto affinché questi non fosse colpito dalle leggi dello Stato, ma soltanto dalla vendetta dell'offeso.
«Non vedo, non sento e non parlo» è il codice dell’omertà nell’ambito della comunicazione mafiosa. L’omertà è uno degli elementi fondanti, se non il più rilevante dell’influenza e dell’identità del fenomeno mafioso.
Negare l’accaduto – un agguato in stile criminale compiuto in una discoteca il sabato sera – considerandolo una scaramuccia tra ragazzi piuttosto che la spia dell’esistenza di gruppi di giovani pronti a tutto pur di imporre il proprio «rispetto», costituisce in maniera evidente un sostegno alle attività dei clan esistenti sul territorio e un tentativo di indebolire l’azione della magistratura.
Le inchieste condotte dalla Procura di Bari nei mesi scorsi hanno fatto venire alla luce un sistema mafioso dedito non solo e non soltanto alle attività tipiche delle consorterie malavitose – spaccio di stupefacenti, controllo di attività economiche – ma anche l’attenzione spiccata verso la pubblica amministrazione e il condizionamento delle elezioni amministrative e politiche. Proprio allo scopo di verificare la tenuta del Comune rispetto agli appetiti mafiosi, è stata insediata una commissione di accesso della quale presto si conosceranno gli esiti del lavoro ispettivo compiuto.
L’omicidio di Molfetta non dimostra nulla rispetto alle possibili infiltrazioni mafiose negli enti pubblici, sia chiaro, ma entrambi i fatti – lo scontro tra clan, gli interessi mafiosi – rappresentano elementi di riflessione per una comunità che deve rimboccarsi le maniche e fare sintesi per respingere un assalto criminale che non può e non deve essere affrontato con il «vogliamoci bene» o peggio con un «sono ragazzi». Si tratta di una strada che forse può servire a lisciare il pelo ai benpensanti in servizio permanente effettivo ma sicuramente ad affrontare e risolvere un problema serio, purtroppo in grado di minare la serena convivenza e lo sviluppo di una città che non è mafiosa ma deve tenere la guardia alta per tenere a bada i 14 clan esistenti sul suo territorio.