Martedì 30 Settembre 2025 | 15:59

Ora sul siderurgico il sindaco Bitetti dica parole chiare

 
mimmo mazza

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mimmo mazza

Ora sul siderurgico il sindaco Bitetti dica parole chiare

La decrescita infelice è apparecchiata, nel silenzio delle forze sindacali che dovrebbero ribellarsi e sollecitare chiarezza. E stavolta non sarà il calcio – storico oppio dei tarantini – a far cambiare verso alla parabola discendente

Venerdì 08 Agosto 2025, 08:59

Ci sono due modi per chiudere l’Ilva di Taranto. Il primo è diretto, senza contorsionismi verbali e industriali (tipo vogliamo chiudere l’area a caldo, non spiegando che l’area a freddo lavora l’acciaio sfornato dall’area a caldo, quindi senza area a caldo non c’è alcuna area a freddo). Si dice chiaramente stop, magari indicandolo anche in campagna elettorale per permettere agli elettori di scegliere con coscienza e consapevolezza, si convocano sindacati e imprese spiegando loro di trovarsi pane per il futuro (e trovarlo ai 20.000 dipendenti diretti e indiretti) e si mette mano, indicando le fonti della maxi provvista economica necessaria, alle bonifiche.

Poi c’è il secondo modo, che è quello imboccato dalla variopinta maggioranza che sostiene il neo sindaco (e neo capitan Tentenna) di Taranto Piero Bitetti. Mentre come nella peggiore Prima repubblica i partiti si dividono le spoglie delle aziende municipalizzate, scartando fior di manager per accontentare chi non ce l’ha fatta a diventare consigliere comunale e a guadagnarsi così una entrata economica aggiuntiva, ecco che si continua in maniera ossessiva e compulsiva a gettare la palla nel campo del Governo pur di non firmare l’accordo di programma per la de carbonizzazione del siderurgico. Nel 2024 l’Italia ha prodotto 20 milioni di tonnellate di acciaio: 18 con i forni elettrici alimentati prevalentemente con i rottami, 2 con il ciclo integrale di Taranto.

Se l’Ilva, come previsto nei piani del Governo, riuscirà nel giro di 5-7 anni a transitare dai forni tradizionali a quelli elettrici alimentati con il pre-ridotto (Dri) producendo 6 milioni di tonnellate d’acciaio l’anno, è chiaro a tutti (o quasi) che sarà una temibile concorrente per gli altri acciaieri italiani giacché l’acciaio di Taranto sarà di alta qualità non dovendo ricorrere ai rottami per la sua produzione. Dunque, le lobby sono in azione per contrastare la rinascita dell’acciaieria tarantina, lobby agevolate – più o meno consapevolmente, un giorno lo scopriremo – da chi continua da un lato a dirsi favorevole alla decarbonizzazione e dall’altro accampa pretesti privi di fondamenti tecnici, per lasciare tutto com’è, confidando nell’implosione della fabbrica e magari nell’intervento del giudice amministrativo sulla nuova Aia che può essere cambiata avviando il riesame, o può essere cassata facendo ricorso per il suo annullamento.

La partita è anche e soprattutto politica. È evidente l’asse Decaro-Renzi-Conte finalizzato a contrastare gli sforzi del duo Emiliano-Schlein per salvare il polo industriale di Taranto, come sono evidenti i movimenti dei poteri forti che vogliono fare della città dei due mari la Bagnoli del 2030. Tutto legittimo? Chissà. Il Governo - malgrado il centrodestra pugliese e tarantino si finga morto sul punto - sta per perdere la pazienza (e sinora ne ha avuta parecchia) mentre Taranto langue, senza una prospettiva economica e industriale, col suo esercito di cassaintegrati, con il porto divenuto monumento allo spreco, con i ristoranti vuoti, i negozi che chiudono e la microcriminalità nuovamente scatenata vista l’infinita serie di furti alle auto parcheggiate per strada. La decrescita infelice è apparecchiata, nel silenzio delle forze sindacali che dovrebbero ribellarsi e sollecitare chiarezza come hanno fatto ieri Confindustria, Aigi e Confapi. E stavolta non sarà il calcio – storico oppio dei tarantini – a far cambiare verso alla parabola discendente.

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