BARI - Alberto Sordi non c’è più da vent’anni, ma la sua «storia di un italiano» continua né mai si fermerà, immaginiamo. Quel tipo di italiano sbruffone, servile, scaltro e opportunista immortalato da «Albertone» in virtù della vocazione accrescitiva di chi sarebbe inadeguato a compiti superiori, epperò se ne impipa. «Che ci volete fare: ma io so’ io, e voi nun siete un cazzo» sentenzia Alberto Sordi-Marchese del Grillo (1981).
Eppure sempre lui, in coppia con Vittorio Gassman, in La grande guerra di Mario Monicelli (1959) si fa fucilare dagli austriaci pur di non tra- dire il suo esercito, urlando di essere un vigliacco. Codardia sublimata in eroismo per caso: praticamente l’Italia, la nostra eterna commedia sullo schermo e fuori. «Signor colonnello, accade una cosa incredibile... I tedeschi si sono alleati con gli americani. Ci stanno attaccando!».
È una delle proverbiali battute di Tutti a casa di Luigi Comencini (1960), il film con l’indimenticabile sottotenente Innocenzi, uno dei personaggi più riusciti nella galleria tricolore di Sordi, in grado di restituire il caos e le speranze degli avvenimenti successivi all’8 settembre 1943 e, di lì a poco, delle Quattro giornate di Napoli. Comencini lo presenta così: «Sordi non è un vigliacco, ma un ufficiale che tiene immensamente al proprio grado e che fino alla fine cerca di compiere quello che ritiene il proprio dovere. L’unico problema è che, senza saperlo, non ha capito nulla». Memorabile la scena della polenta al misero desco con l’ufficiale americano che tenta di «usurpare» la salsiccia centrale. Sorrisi amari. «Ma ‘ndo vai, se la banana non ce l’hai?» è il refrain di Polvere di stelle, interpretato al Petruzzelli: «Ahò, il teatro più grande del mondo!» (Oggi è intitolato a Sordi lo slargo a fianco del Petruzzelli). A proposito di Venezia, Sordi è il fruttivendolo Remo di «Le vacanze intelligenti», episodio del trittico Dove vai in vacanza? (1978). Il Nostro porta la moglie nei padiglioni della Biennale d’Arte: un giro nel dedalo del contemporaneo fra l’ammirato scetticismo di lui e i piedi gonfi di lei, che per la stanchezza si accascia su una sedia parte di un’installazione artistica… Momento surreale degno di Duchamp, grottesco e sublime. Milano e diretto da Sordi nel 1973. Ricordate? «Dove mi porti?» - «Ti porto a Bari, amore mio». Siamo di nuovo all’indomani dell’armistizio dell’8 settembre, quando il capocomico Mimmo Adami e la soubrette Dea Dani (Monica Vitti), con la loro scalcagnata compagnia di avanspettacolo, navigano su un barcone che nottetempo in Adriatico ha cambiato rotta.
Era diretto a Venezia, ma per un colpo di mano contro i tedeschi a bordo approda nel capoluogo pugliese. È una Bari euforizzata dall’arrivo delle truppe americane e i guitti s’inchinano commossi dinanzi invece è la cinica cornice di Il vedovo di Dino Risi (1959), con cui Albertone due anni dopo girerà il capolavoro Una vita difficile. Da romano trapiantato al Nord e industriale «cretinetti» in ambasce per i debiti, il Vedovo architetta l’omicidio della ricchissima consorte, una Franca Valeri di sublime petulanza, restando però vittima dell’«incidente» in un ascensore. Ma naturalmente il legame essenziale nella carriera di Sordi è con Federico Fellini, il quale ne fa il protagonista e il divo dei suoi primi capolavori, Lo sceicco bianco e I Vitelloni (1952-53), «ritrovando» poi il complice di gioventù in una scena esilarante e tuttavia commovente di Il tassinaro diretto dal medesimo Sordi nel 1983.
Federico e Alberto sono legati tra loro da vincoli artistici e di affetto che hanno segnato e scandito la Storia del cinema, ma anche il costume, i valori, i sentimenti, il carattere stesso degli italiani. L’attore trasteverino avrebbe dovuto fare da testimone di nozze di Federico con Giulietta Masina il 30 ottobre 1943, in piena guerra, ma non si presentò perché aveva lo spettacolo pomeridiano al cinema Galleria di piazza Colonna. Quel giorno, accorgendosi dell’arrivo della coppia in platea, Sordi invita ad accendere le luci in sala e chiama l’applauso: «Si è sposato proprio oggi il più grande amico mio, io non sono potuto andare al suo matrimonio e allora è venuto lui qui in teatro. Si chiama Federico Fellini, è un grande umorista e un giorno forse sarà un regista…». Poi tutti a tavola in casa o in trattoria, dove ancora oggi quando ti siedi risuona l’eco dell’inno nazionale: «Maccarone, m’hai provocato e io ti distruggo adesso, io me te magno!».