Se è vero, come diceva Viktor Sklovskij, che “nell’arte resuscitiamo la vita”, oggi più che mai parlare d’arte significa restituire alla vita il suo stesso centro e alle artiste che diventano madri il diritto di vivere in un mondo da riscrivere affinché non sia fatto solo a misura d’uomo. Tra precarietà e impulso creativo, pratica artistica e vita quotidiana, si muove l’indagine di Santa Nastro (nata a Napoli, classe ’81), critica d’arte, giornalista, vicedirettrice di Artribune, responsabile della Comunicazione della Fondazione Pino Pascali di Polignano a Mare e autrice del libro “Mamme nell’arte. Artiste e operatrici culturali nella sfida della maternità” (pp.228, Castelvecchi) che sarà presentato a “Il Libro possibile 2025”. L’appuntamento in uno degli scorci più suggestivi di Polignano a Mare - La Terrazza dei Tuffi - è in programma il 12 luglio alle 19.30 e sarà l’occasione per scandagliare un tema – la maternità – che “pur ricorrendo nella storia dell’arte è da sempre veicolata dall’occhio maschile, raccontata come oggetto muliebre”. E con la complessità del reale che ne deriva, Santa Nastro ci ha fatto i conti in un momento cruciale della sua storia personale, un momento che l’ha guidata nella stesura di queste pagine e che non esita a raccontare.
Com’è nato questo libro?
«Sono partita da una ricerca che era stata già avviata prima che io diventassi mamma, infatti è anticipato da un altro mio libro edito sempre da Castelvecchi - “Come vivono gli artisti” - che indaga la gestione della vita quotidiana. Perché crescere è confrontarsi con le grandi sfide: la famiglia, la malattia, la maternità. Poi, nel 2023, sono diventata mamma e mi sono interrogata nel profondo: in relazione alla gestione del lavoro, ponendo attenzione alle artiste e alle operatrici del mondo dell’arte che come me stavano affrontando questo momento della vita di una donna. Mi hanno risposto in tante, docenti, galleriste, donne che si occupano di arte e portano avanti la sfida della genitorialità. Va costruita una dimensione di dialogo su questi temi di cui non si parla, perché rimbalzano altrove: quando una donna rientra a lavoro dopo i mesi di assenza per maternità, si tende a considerarla ancora una lavoratrice a metà. Conosco professioniste che dall’esperienza della maternità hanno tratto una forza sorgiva, a 41 anni l’ho scoperto anch’io».
Oggi le artiste donne sono quotate alla pari dei loro colleghi uomini?
«Essere donna nella società contemporanea è la questione cruciale, comporta un confronto continuo. Nel 2020 c’è stata una ricerca sul gender gap pubblicata da Kooness – la piattaforma online che funge da intermediaria con il mondo delle gallerie - che ha rilevato un dato significativo: gli artisti campionati guadagnano il 24% in più delle colleghe. Quotazioni più basse e meno premi. Le scelte degli acquirenti fanno pensare. Un altro esempio? Quando Cecilia Alemani ha curato la 59^ Esposizione Internazionale d’Arte intitolata “Il latte dei sogni”, oltre a essere stata la prima donna italiana a curare la Biennale di Venezia ha fatto registrare un record: fu l’edizione più visitata della storia eppure ci furono molte critiche».
A Polignano lei è di casa, oltre che essere ospite del festival, riveste un ruolo fondamentale nella Fondazione Pascali.
«Sì, ne sono felice. Ho tanti ricordi legati a Polignano perché la frequento da anni grazie al lavoro nella Fondazione Pascali. Ricordo la prima volta che vidi questo luogo magico: avevo fatto un piccolo incidente con la bici e avevo una benda sull’occhio e quando mio marito mi portò su una terrazza panoramica non ho resistito, ho tolto la benda. La Fondazione è un luogo di grande sperimentazione amato da tutti coloro che partecipano alla vita di questo scrigno – immerso in uno dei luoghi più belli del mondo – dell’arte contemporanea».
La Puglia è casa d’arte per moltissime firme oggi più che attive sulla scena. Da cosa dipende secondo lei?
«È vero, ho lavorato in tanti territori nella mia vita – in Italia come nel resto del mondo - mi sono trasferita nel 2014 a Bari ed è una città che amo. La cosa che mi ha sempre molto colpito della Puglia è proprio questa concentrazione di grandi artisti pugliesi - che si spostano ma poi rientrano – del calibro di Valentina Vetturi, Pamela Diamante, Fabrizio Bellomo, Francesco Arena. E poi noto la raffinatezza del dibattito culturale vissuto sulle pagine della stampa locale. La Puglia ha una marcia in più. Resto sempre stupita dalla quantità di persone che partecipano agli eventi della Fondazione. Non è un risultato casuale, deriva anche da quel confronto che la Puglia mantiene aperto».