Giovedì 18 Settembre 2025 | 04:30

La leggenda dell’acqua lucana

 
Carmela Formicola

Reporter:

Carmela Formicola

La leggenda dell’acqua lucana

In questa geometria atavica di rocce, l’acqua si è scavata un suo cammino, una sua forma, una sua identità. Nelle grotte segrete, nelle valli, fonti ed estuari hanno disegnato con cura, con il tempo, la Basilicata

Lunedì 27 Gennaio 2025, 12:29

In questa geometria atavica di rocce, l’acqua si è scavata un suo cammino, una sua forma, una sua identità. Nelle grotte segrete, nelle valli, fonti ed estuari hanno disegnato con cura, con il tempo, la Basilicata.
L’acqua lucana, che leggenda! E non solo per noi bambini, al ritorno dal mare, estate piena, lungo le strade riarse che dal Tirreno s’arrampicavano sulla montagna, i viadotti tormento di Vietri di Potenza unica via prima del Raccordo autostradale di Sicignano (che poi arrivò ad accorciare il viaggio) ... e noi bambini assetati e un padre che consegna l’attesa magnifica del ritorno a casa per quell’acqua del rubinetto fresca e dolcissima da bere d’un fiato, premio finale, bicchieri domestici (quelli a fiori della Nutella, svuotati e riutilizzati per i bambini) trasformati in coppe rigogliose. Potenza aveva all’epoca, parliamo
della seconda metà del Novecento, la seconda acqua d’Europa per qualità e purezza (la prima era quella di Vienna). Acqua pubblica, ovvio, ce l’avevi a casa. Nulla dell’obbligo di fardelli di plastica da acquistare all’iper in questa inedita stagione del Terzo Millennio. Ma su questa stagione beffarda torneremo poi.

Il Cogliandrino, il Rubbio, il Serrapotamo. E il Basentello, E il Canale del Torno. Il Gallitello, il Tora. Tiera, Camastra, Rifreddo. E ancora il Sauro, il Racanello, Fosso Embrici. Un reticolo infinito di torrenti ha alimentato per secoli i cinque principali fiumi della Basilicata, il Bradano, il Basento, l’Agri, il Sinni, il Noce. E l’acqua di questi affluenti, lungo acquedotti antichi, si è riversata nelle maestose fontane di pietra nel cuore dei centri storici.
Indimenticabili, gli spruzzi sferzanti in certi pomeriggi d’inverno di luce morente, nelle piazze dei paesi o sui belvedere spalancati sulle vallate. Bere dalle cannelle un obbligo, anche nel mezzo del mese più gelido, fermarsi alla fontana a bere è un rituale, ha dentro una forza esoterica, come sui cammini dei pellegrini, come un qualsiasi viandante ripreso nel mezzo di una sua personalissima vicenda, ripreso in quell’istante iconico, sospeso di riposo e pace, fermo a bere alla fontana di pietra.
Poesia, pagine di storia, memoria. Tutto questo è l’acqua per un qualsiasi lucano del Novecento. D’altronde sullo stemma della Regione Basilicata quel fregio sinuoso sono proprio i cinque fiumi. Ed è inutile ricordare che dalle viscere del vulcano spento, il Vulture, continua a sgorgare l’acqua che - oggi imbottigliata da una multinazionale - finisce sulle tavole di mezzo mondo.
Dunque? Cos’altro aggiungere? La cronaca degli ultimi mesi, ad esempio. Perché una stagione «beffarda»? Perché all’improvviso se bevi l’acqua dal rubinetto di casa ti viene di sputarla, con tutto il corollario di delusione e tradimento per quel ricordo che riaffiora dei giorni felici in cui tornavi dal mare. E quel sistema venoso di torrenti e fiumare che alimentava il grandioso schema idrico naturale lucano? Ne è emblema il ghiaione del Sarmento, un letto prosciugato, un letto bianco che riluce nel paesaggio, lunare testimonianza di acque captate, grandiose opere idrauliche, dighe, modernità. Il passato è passato e quella «sindrome del ragazzo della via Gluck» ti prende lasciandoti non solo la tipica amarezza della sopraggiunta mezza età quanto la rabbiosa considerazione della disastrosa impronta degli uomini nelle epopee concluse.
Ma in quale storia hai potuto gestire l’acqua in maniera così sciagurata? Qualcuno ricorda questa figura mitica, il «Signor 23%», tipo il Minotauro di Ovidio, mezzo uomo mezzo toro, mezzo uomo mezzo tangentista, ma anche mezzo Ebenezer Scrooge di Dickens, mezzo Zemlianika di Gogol. Da questo Signore in poi sarebbe susseguita tutta una spirale di errori, di affari, di moltiplicazione di poltrone. Di miopia amministrativa. Di dileggio. Realtà o folklore? «Alla potenza delle sorgenti antropizzate, fatta di bottini, di opere, di canali, si contrappone il silenzio sacrale di quelle ancora libere di scorrere, così come la natura le ha volute»: è questa speranza che nutre i lucani, come scrive il geologo Giampiero D’Eclesiis, l’idea che in qualche modo, da qualche parte, la Grande Madre Acqua continui a rigenerarsi nel ventre profondo della Basilicata. Una Fenice infinita, ben oltre le fontane dismesse dei vecchi centri storici, i letti vuoti dei diversi affluenti, i corsi deviati dal cemento e le centinaia di bottiglie di plastica che siamo costretti a comprare per dissetarci.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Marchio e contenuto di questo sito sono di interesse storico ai sensi del D. Lgs 42/2004 (decreto Soprintendenza archivistica e Bibliografica Puglia 18 settembre 2020)

Editrice del Mezzogiorno srl - Partita IVA n. 08600270725 (Privacy Policy - Cookie Policy - - Dichiarazione di accessibilità)