Pietrangelo Buttafuoco, presidente della Biennale di Venezia, la Mostra del Cinema alimenta ogni anno polemiche ed energia. Quale il bilancio dell’edizione 2025?
«Abbiamo battuto l’ultimo record e ora così siamo costretti a ottenere risultati ancora più forti. Il nodo diviene lo spazio da ampliare. È una copiosa benedizione: il bilancio è fatto solo di numeri di cui essere orgogliosi».
Una Mostra che ha come cardine il pluralismo delle arti e delle - ritornando alla sua vocazione originaria di universalismo tutto italiano - è anche una risposta a chi chiede invece esclusioni più o meno arbitrarie?
«La Mostra ripercorre la visione di tutte le strutture della Biennale: qui non si chiude nulla, piuttosto di apre. Non si toglie nulla piuttosto si aggiunge».
Eppure c’è l’ossessione di chi vuole escludere. In nome di cosa?
«È l’istinto di censura che da sempre accompagna la storia dell’umanità, l’idea di attivarsi nella propaganda. Ma questo non riguarda la Biennale, che non ha mai avuto questa malattia».
Torniamo alla missione tutta italiana di reinterpretare l’universalità.
«I popoli, anche nemici tra loro, si incontrano. Bisogna creare uno spazio dove i più sapienti e i più sensibili possano confrontarsi con chi ha argomenti e competenze. Le istituzioni servono a questo. La Biennale non è luogo di produzione di slogan o, ancora peggio, luoghi comuni. La Biennale, forte delle proprie discipline – arte, architettura, cinema, danza, musica e teatro – apre uno spazio per uno sforzo, anche teorico, dove la dialettica necessariamente determina una posizione ulteriore di avanzamento».
Da Venezia alla Puglia seguendo il magistero di Carmelo Bene. Il maestro salentino nella città di San Marco diresse una Biennale del Teatro e portò alla Mostra Nostra Signora dei Turchi, ambientato a Santa Cesarea Terme. Nell’archivio dell’Ente che guida ha trovato “tracce di Bene”?
«Certo, basti ripercorrere lo straordinario video del consiglio di amministrazione con Carmelo Bene. Si tratta di un documento eccezionale…».
La pellicola di Franco Maresco, Un film fatto per Bene che interpretazione dà dell’arte del gigante di Campi Salentina?
«Ovviamente è un pretesto. Nell’ “assenza” conclama l’inaudita presenza di Carmelo Bene. In realtà è tutto un rimando. La genialità d Maresco la collocavo tra gli scaffali letterari dove si trova Louis Ferdinand Céline… Adesso ci aggiungo anche una puntina di James Joyce. Degno specchio di Carmelo Bene è proprio Maresco».
Bene resta un inattuale nella cultura italiana…
«È come Salvador Dalì, come Luis Borges: nel consumo eterno del genio e della stessa capacità di interpretare il nostro bisogno di elevazione, incarna un esercizio di scavo nel profondo della parola, dell’ascolto, nell’essenza stessa dell’arte. Che ci sia stato un transito terrestre come quello di Carmelo Bene è un privilegio per noi contemporanei».
L’evento di Lecce e Otranto segna un ritorno della Puglia allo studio di un artista che merita un posto di rilievo nel pantheon territoriale. A Sud del Sud dei Santi è una performance su sacro e poetica…
«È dare plastica presenza ad un concetto chiuso in una categoria teologica. È il rapporto fortissimo con la sacralità: la interpretiamo con la ragione, con il logos o da laici - “il laico è laido” diceva Bene - ma Carmelo ci poneva nell’immediata consapevolezza dell’arte come profezia. Ernesto De Martino è arrivato ad un certo punto, l’oltrepassamento l’ha individuato Bene con il Sud del Sud dei Santi…».
I conflitti nel mondo visti dall’osservatorio di Venezia. Viene voglia di trovare pace nei versi di Jalāl al-Dīn Rūmī…
«Venezia ha rappresentato da sempre un esempio nella nostra civiltà. Nell’isola di San Giorgio si incontravano i sovietici e gli americani. Se c’è un luogo dove il conflitto può avere un agone per poter sciogliersi e superare questa condizione è la città di Venezia, capitale d’Oriente, la meta a cui ha guardato nei secoli l’Asia e l’Africa. Tutte queste energie trovano in Venezia la città che non solo accoglie ma alimenta questo fermento: custodisce il lievito da cui verranno fuori nella panificazione forme ulteriori che ci accompagnano al domani».